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“Se le aziende diventano prede”, di Patrizio Bianchi

La vendita di Loro Piana alla multinazionale del lusso Lvmh ha coinciso con l’ulteriore declassamento da parte di Standard and Poor’s del debito pubblico italiano. L’acquisto è testimonianza del complesso riordino delle attività produttive. Si tratta di un riordino che si sta realizzando in Europa a dodici anni dall’entrata dell’Euro e a quindici anni di avvio di quel fenomeno di globalizzazione che ha ridisegnato la mappa dei vantaggi competitivi a livello mondiale. I nostri punti di forza sono dati da circa 5000 medie imprese famigliari, che hanno affrontato la nuova fase specializzandosi sempre di più in beni di consumo di alta qualità e in beni di investimento sempre più personalizzati per clienti, che sono a loro volta imprese, che si muovono a livello globale.

Le imprese, che hanno seguito coerentemente la via del riposizionamento sui nuovi mercati globali, hanno progressivamente aumentato la loro quota di produzione all’estero e progressivamente si sono integrate a li- vello mondiale in circuiti di mercato in cre- scita. Ad esempio i nostri produttori di mac- chine per il packaging dei beni alimentari e farmaceutici, di macchine per produrre pa- sta e cuscus, di macchine per produrre pia- strelle hanno continuato la loro crescita an- che negli anni più bui, perché la crescita del-

e imprese cinesi, indiane, brasiliane richie- devano le nostre macchine, tanto che le esportazioni meccaniche dal 2004 al 2010 crescono da un terzo a due terzi del totale del nostro export. Contemporaneamente proprio la crescita accelerata di quei paesi determina lo sviluppo dei segmenti di merca- to dei beni di lusso, che prima sui mercati interni erano nicchie esclusive, ma che ora sul mercato globale diventano mercati di grandi volumi, con bisogni di reti distributi- ve di estensione crescente, con il rincorrersi delle stesse grandi firme da New York a Shangai.

Qui cresce la contraddizione e si eviden- ziano i punti di debolezza della nostra indu- stria. La prima contraddizione è che nel frat- tempo il mercato interno è sempre più de- presso ed a forza di manovre di risanamento l’encefalogramma della domanda interna è sempre più piatto, con la conseguenza di una frattura sempre più netta fra le imprese che sono già riuscite nel salto nell’iperspazio del mercato globale, e quelle invece rimaste incagliate nella palude del mercato interno. Il secondo elemento di preoccupazione è ap- punto che le imprese che si sono inserite nel mercato globale – quelle 5000 sopra indica- te – in questi anni si sono sempre più integra- te in circuiti internazionali, in cui le nostre imprese migliori realizzano le parti finali dei cicli produttivi, ma le grandi multinazionali controllano sempre più le fasi di distribuzio- ne finale di questi beni, proprio perché han- no massa critica e risorse finanziarie adegua- te a sostenere reti di vendita e reti logistiche di dimensione globali. Qui le nostre imprese dimostrano tutti i limiti della loro dimensio- ne – che è punto di forza in termini di qualità dei prodotti e di controllo dei processi, ma è un vincolo, proprio nelle fasi di crescita e di

riposizionamento sul mercato mondiale, co- sì come in vincoli si trasformano la stessa proprietà famigliare e la stessa struttura bancaria italiana, storicamente più attente al mantenimento del controllo che alle pro- spettive di rapida crescita delle imprese. Quindi un paese il nostro con imprese dina- miche, ma nel complesso un paese, come ci testimonia oggi il duro giudizio di Standard and Poor’s, considerato anche ben poco affi- dabile. E quindi le nostre imprese famigliari più dinamiche, proprio perché isolate nel contesto locale paludoso e molto esposte a livello internazionale, ottime nella produzio- ne, ma fragili nella distribuzione, diventano prede sicure per i gruppi che invece, con l’as- sistenza dei rispettivi sistemi bancari, voglio- no muoversi sul grande mercato globale.

Su questa considerazione si aprono spazi notevoli per una politica industriale, che vo- glia finalmente orientarsi alla crescita. Biso- gna lavorare sull’ampliamento del numero di operatori in grado di muoversi, in modo coordinato, su livelli di alta qualità a livello globale,ma anche sulla capacità di attrarre e radicare qui imprese multinazionali, che vo- gliano investire in qualità e innovatività del- le produzioni, ma su questo ambito bisogna investire di più in scuola e formazione pro- fessionale, perché la chiave per rendere sta- bili e solide le basi industriali sono nella ca- pacità di investire nelle persone e nelle loro competenze. Così, bisogna affrontare il te- ma stesso della crescita delle nostre impre- se, per spingerle a disporre di quelle masse critiche necessarie alla crescita in economia aperta. Ma per tutto questo bisogna che an- che il mercato interno riprenda, per non con- dannarci alla schizofrenia di un paese che deve guardare lontano, per non vedere la pa- lude ai nostri piedi.