La vendita di Loro Piana alla multinazionale del lusso Lvmh ha coinciso con l’ulteriore declassamento da parte di Standard and Poor’s del debito pubblico italiano. L’acquisto è testimonianza del complesso riordino delle attività produttive. Si tratta di un riordino che si sta realizzando in Europa a dodici anni dall’entrata dell’Euro e a quindici anni di avvio di quel fenomeno di globalizzazione che ha ridisegnato la mappa dei vantaggi competitivi a livello mondiale. I nostri punti di forza sono dati da circa 5000 medie imprese famigliari, che hanno affrontato la nuova fase specializzandosi sempre di più in beni di consumo di alta qualità e in beni di investimento sempre più personalizzati per clienti, che sono a loro volta imprese, che si muovono a livello globale.
Le imprese, che hanno seguito coerentemente la via del riposizionamento sui nuovi mercati globali, hanno progressivamente aumentato la loro quota di produzione all’estero e progressivamente si sono integrate a li- vello mondiale in circuiti di mercato in cre- scita. Ad esempio i nostri produttori di mac- chine per il packaging dei beni alimentari e farmaceutici, di macchine per produrre pa- sta e cuscus, di macchine per produrre pia- strelle hanno continuato la loro crescita an- che negli anni più bui, perché la crescita del-
e imprese cinesi, indiane, brasiliane richie- devano le nostre macchine, tanto che le esportazioni meccaniche dal 2004 al 2010 crescono da un terzo a due terzi del totale del nostro export. Contemporaneamente proprio la crescita accelerata di quei paesi determina lo sviluppo dei segmenti di merca- to dei beni di lusso, che prima sui mercati interni erano nicchie esclusive, ma che ora sul mercato globale diventano mercati di grandi volumi, con bisogni di reti distributi- ve di estensione crescente, con il rincorrersi delle stesse grandi firme da New York a Shangai.
Qui cresce la contraddizione e si eviden- ziano i punti di debolezza della nostra indu- stria. La prima contraddizione è che nel frat- tempo il mercato interno è sempre più de- presso ed a forza di manovre di risanamento l’encefalogramma della domanda interna è sempre più piatto, con la conseguenza di una frattura sempre più netta fra le imprese che sono già riuscite nel salto nell’iperspazio del mercato globale, e quelle invece rimaste incagliate nella palude del mercato interno. Il secondo elemento di preoccupazione è ap- punto che le imprese che si sono inserite nel mercato globale – quelle 5000 sopra indica- te – in questi anni si sono sempre più integra- te in circuiti internazionali, in cui le nostre imprese migliori realizzano le parti finali dei cicli produttivi, ma le grandi multinazionali controllano sempre più le fasi di distribuzio- ne finale di questi beni, proprio perché han- no massa critica e risorse finanziarie adegua- te a sostenere reti di vendita e reti logistiche di dimensione globali. Qui le nostre imprese dimostrano tutti i limiti della loro dimensio- ne – che è punto di forza in termini di qualità dei prodotti e di controllo dei processi, ma è un vincolo, proprio nelle fasi di crescita e di
riposizionamento sul mercato mondiale, co- sì come in vincoli si trasformano la stessa proprietà famigliare e la stessa struttura bancaria italiana, storicamente più attente al mantenimento del controllo che alle pro- spettive di rapida crescita delle imprese. Quindi un paese il nostro con imprese dina- miche, ma nel complesso un paese, come ci testimonia oggi il duro giudizio di Standard and Poor’s, considerato anche ben poco affi- dabile. E quindi le nostre imprese famigliari più dinamiche, proprio perché isolate nel contesto locale paludoso e molto esposte a livello internazionale, ottime nella produzio- ne, ma fragili nella distribuzione, diventano prede sicure per i gruppi che invece, con l’as- sistenza dei rispettivi sistemi bancari, voglio- no muoversi sul grande mercato globale.
Su questa considerazione si aprono spazi notevoli per una politica industriale, che vo- glia finalmente orientarsi alla crescita. Biso- gna lavorare sull’ampliamento del numero di operatori in grado di muoversi, in modo coordinato, su livelli di alta qualità a livello globale,ma anche sulla capacità di attrarre e radicare qui imprese multinazionali, che vo- gliano investire in qualità e innovatività del- le produzioni, ma su questo ambito bisogna investire di più in scuola e formazione pro- fessionale, perché la chiave per rendere sta- bili e solide le basi industriali sono nella ca- pacità di investire nelle persone e nelle loro competenze. Così, bisogna affrontare il te- ma stesso della crescita delle nostre impre- se, per spingerle a disporre di quelle masse critiche necessarie alla crescita in economia aperta. Ma per tutto questo bisogna che an- che il mercato interno riprenda, per non con- dannarci alla schizofrenia di un paese che deve guardare lontano, per non vedere la pa- lude ai nostri piedi.