Non serviva una particolare virtù divinatoria, per sapere che a dispetto della propaganda populista la vera bomba a orologeria innescata sotto al tavolo delle Larghe Intese non è l’Imu, non è l’Iva, e non è nemmeno il lavoro. Erano e sono, molto più banalmente, i processi di Berlusconi, che purtroppo paralizzano l’Italia ormai da quasi vent’anni.
La novità è che la Cassazione ha attivato il timer. Il 30 luglio, a questo punto, il Cavaliere rischia dunque una condanna definitiva per frode fiscale, punita con 4 anni di reclusione (che non sconterà) e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici (che invece dovrà scontare, salvo clamorosi e vergognosi colpi di spugna decisi dal Parlamento). Com’era prevedibile, la decisione della Suprema Corte solleva altissima l’onda dello sdegno cavalcata dai surfisti dell’impunità. Nel Pdl si involano i falchi, si infuriano le amazzoni, sibilano le pitonesse. Da Cicchitto a Sacconi, da Bondi a Matteoli, le formule sono più o meno le solite: «complotto politico-giudiziario per colpire Berlusconi e far cadere Letta», «giustizia sommaria contro un uomo solo », «attentato alla democrazia» che apre «serie incognite sul futuro del governo». Santanché si chiede addirittura «cosa aspettiamo a passare all’azione», dove per «azione» nessuno sa ancora immaginare cosa si intenda davvero. L’unica cosa chiara è che l’insurrezione mediatica prelude alla destabilizzazione politica. Il «tintinnare di sciabole» che proviene da destra non lascia presagire nulla di buono per la già fragilissima Grosse Koalition all’italiana.
Alfano si augura che adesso la Cassazione «usi la stessa celerità con tutti i processi ». Per una volta, senza volerlo né saperlo, il segretario del Pdl dice una cosa giusta. È esattamente quello che è accaduto nel caso di specie. La «celerità» con la quale la Corte ha deciso di fissare in tempi così rapidi l’udienza e la sentenza sul processo per i diritti tv Mediaset in cui è coinvolto Berlusconi è proprio la stessa che usa in tutti i processi sui quali pende la stessa «minaccia», cioè quella della prescrizione. Per saperlo basta incrociare l’articolo 169 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e il «decreto organizzativo» varato più di un anno fa dall’allora primo presidente della stessa Cassazione, Ernesto Lupo. Le due disposizioni prevedono che in tutti i processi prossimi alla scadenza, e sui quali pende il rischio di una prescrizione anche parziale o «intermedia», la Cassazione penale procede «d’urgenza». Vale ora per il Cavaliere, e da più di un anno vale ed è valso per qualunque altro cittadino. Dunque, nessuna persecuzione personale, nessuna forzatura «ad personam ».
«Ad personam », semmai e come al solito, era la prescrizione che si stava per abbattere in parte anche sul processo diritti tv Mediaset (come si è già abbattuta dal ’94 ad oggi in nove dei diciassette processi, da All Iberian al caso Mills, nei quali l’ex premier si è salvato grazie alle norme su misura fatte approvare a forza dalle Camere). Grazie alla legge ex Cirielli (varata dal governo dell’allora Cdl nel 2005) per effetto del calcolo dei periodi di sospensione subiti durante il dibattimento, il prossimo 13 settembre si sarebbe prescritta una delle due annualità fiscali per le quali il Cavaliere è già stato condannato per frode in primo e in secondo grado. Se la Cassazione non avesse adottato la procedura «d’urgenza», affidando l’udienza finale del 30 luglio alla cosiddetta «sezione feriale», la sentenza definitiva (emessa dopo il 13 settembre) avrebbe riguardato un’unica annualità fiscale della frode Mediaset, e questo avrebbe obbligato la Corte a rinviare comunque il processo alla Corte d’appello, per consentire il ricalcolo della pena (commisurandola non più su un reato compiuto in due anni,
ma su un solo anno). L’intero processo, a quel punto, si sarebbe prolungato al 2014. Con il pericolo di arrivare in questo modo alla sua completa estinzione, visto che la prescrizione totale è prevista per il giugno del prossimo anno.
Di fronte allo scenario infausto di un ennesimo salvacondotto, la mossa della Corte non solo non è scandalosa, ma era al contrario doverosa. Ed è stupefacente che Franco Coppi si dichiari «esterrefatto». È un grande avvocato, patrocina in Cassazione da anni, e non può non conoscere le regole. Evidentemente anche un principe del Foro, da difensore del Cavaliere, si fa accecare dal teorema della «persecuzione giudiziaria» e delle «toghe rosse». Ora tutto è nelle mani dei giudici della Suprema Corte. Il 30 luglio, come il nemico, è alle porte. E com’era ovvio, il Pdl è già sulle barricate, pronto a combattere la madre di tutte le battaglie. Tornano in auge mai sopiti propositi ribellisti, in una progressione sediziosa che va dal minimo di una grande manifestazione di piazza al massimo di un Aventino di massa dal Parlamento. In tutti i casi, è ridicolo illudersi che la strana maggioranza tenga e che le Larghe Intese restino salde, mentre il Cavaliere rischia tra appena tre settimane gli arresti domiciliari, l’affidamento ai servizi sociali e l’estromissione definitiva dalla politica. Per Berlusconi e per la sua corte la tentazione di far saltare il tavolo, prima o dopo che la bomba a orologeria sarà esplosa, è fortissima.
Si avvicina l’epilogo che temevamo. La gigantesca bolla della «pacificazione», sulla quale la destra ha costruito e vincolato lo scellerato patto di governo con la sinistra, si sgonfia miseramente, e libera miasmi velenosi e pericolosi. Un intero Paese resta in ostaggio dell’ossessione personale e processuale di un solo uomo, in nome della quale tutto è sacrificabile. Se la Cassazione confermerà la condanna, tutto è davvero possibile. Compresa la crisi, il voto, una campagna elettorale feroce. A meno che nella Giunta per le autorizzazioni del Senato, che sarà chiamata a ratificare a scrutinio segreto l’interdizione dai pubblici uffici, qualche anima persa del Pd non decida di offrire un «soccorso rosso» al Cavaliere. Un atto di nichilismo etico e di cinismo politico così enorme ed abnorme che risulta persino difficile da pensare, e che dunque non può essere neanche pensato.
Nel frattempo l’immagine dello Statista responsabile, costruita a forza da Giuliano Ferrara sul profilo riluttante del populista di Arcore, sbiadisce e quasi svanisce nell’attesa dell’ordalia di fine luglio. E sullo sfondo si intuisce un finale da Caimano di Nanni Moretti, con tumulti e fuochi intorno ai palazzi di giustizia. Edificante al cinema, terrificante nella realtà.
La Repubblica 10.07.13