E’ sbagliato considerare il welfare come un costo improduttivo o addirittura uno spreco che accresce il debito pubblico. È, al contrario, corretto considerarlo come un’occasione di crescita e di sviluppo. Un investimento, uno deí volani per avviare la ripresa economica. Questa la conclusione, dati alla mano, della ricerca promossa da 40 organizzazioni tra le più rappresentative che operano nel campo dell’economia sociale, del volontariato e del sindacato, intitolata, appunto «Il welfare produce occupazione », elaborata da un gruppo di ricercatori coordinati da Andrea Ciarini dell’Università La Sapienza di Roma. Dai dati raccolti emerge che il settore dei servizi e proprio quello, molto pìù che il secondario, a registrare una costante crescita in Italia ed in Europa, nonostante la crisi economica che continua a pesare. In tutta Europa, tra il 2008 e il 2012, a fronte di una perdita di occupazione nei comparti manufatturieri di 3 milioni e 123mila unità l’incremento nei servizi di welfare, cura e assistenza è stato pari a 1 milione e 623mi1a unità, il 7, 8 per cento in più. L’Italia è in ritardo. Per questo è necessario l’impegno a recuperare, tanto più essendo uno dei pochi Paesi a non aver elaborato una politica per l’autosufficienza sempre più necessaria dati i nuovi bisogni collegati all’innalzamento dell’età media. Nel nostro Paese sono più di 15 milioni, il 38,4 per cento della popolazione tra i 15 e i 64 anni, le persone impegnate regolarmente nel lavoro di cura di figlio coabitanti di meno di 15 anni, altri bambini della stessa fascia d’età o, adulti anziani, malati, non autosufficienti e con disabilità.
LE DONNE IN PRIMA LINEA Questa attività di cura interessa soprattutto le donne, sia in valore assoluto, 8,4 milioni di donne contro 6,8 milioni di uomini che in termini percentuali, 42,3 per cento a fronte del 34,5. Le stime dell’Istat segnalano che sono 240mila le donne costrette a scegliere il part-time per mancanza di servizi adeguati e che 489mi1a sono le donne ostacolate nell’accesso al mondo del lavoro. All’impegno diretto delle famiglia va aggiunto quello delle badanti o assistenti. Per il lavoro di cura privato nel 2009 la spesa è stata pari a 9,8 miliardi di euro contro i 7,1 miliardi di euro dell’intera spesa sociale dei Comuni registrata nello stesso anno. Da registrare è anche il profondo squilibrio tra Nord e Sud. Emblematica è la situazione degli asili nido, a macchia di leopardo. Insufficiente l’offerta rispetto alla domanda con un divario tra Nord e Sud tutto in due dati: 25,4 per cento in Emilia Romagna e 1,9 per cento della Campania. L’uso della spesa pubblica per creare lavoro, stando alla ricerca che si ricollega a recenti studi in materia, ha effetti sull’occupazione molto più alti e in tempi più rapidi di altre azioni: fino a dieci volte superiori rispetto al taglio delle tasse, da 2 a 4 rispetto all’aumento di spesa degli ammortizzatori sociali o alla riduzione dei contributi sul lavoro per le imprese. «Questo vale anche per il welfare a condizione che si operi non per creare un’occupazione qualsiasi, né un lavoro di pubblica utilità per i disoccupati, ma impieghi utili a rispondere ai bisogni presenti e urgenti nelle nostre società» è sottolineato nel rapporto che ha posto l’accento sulle criticità conseguenti ad una mancata politica nazionale. Il viceministro alle politiche sociali, Maria Cecilia Guerra ha concordato sul concetto di welfare come volano per l’economia. Bisogna cambiare angolo di prospettiva e considerare le politiche sociali «non più come interventi riparatori ma soprattutto come servizi e supporti inclusivi, affinché le persone siano davvero artefici e protagoniste della propria esistenza».
L’Unità 06.07.13