Studenti universitari “tartassati” dalle tasse come nel film di Totò. In appena otto anni, gli iscritti negli atenei statali si sono assottigliati mentre le tasse universitarie sono cresciute del 50 per cento. Con picchi, per alcuni atenei, di oltre il 100 per cento. Il salasso emerge dai dati sui contributi degli studenti
pubblicati dal Miur.
UN FENOMENO, più volte denunciato dalle associazioni studentesche, che sarebbe anche all’origine del calo di matricole registrato in Italia. Pagare mille e più euro all’anno per fare studiare un figlio all’università
può diventare insostenibile per una famiglia. Bastano alcuni esempi: dal 2004 al 2012 l’università del Salento ha aumentato le tasse del 167 per cento mentre quella di Reggio Calabria del 119 per cento. Ma la stangata non riguarda solo i piccoli atenei. Tra i grandi, spicca l’università di Palermo che ha raddoppiato i contributi (+110 per cento) e la Federico II di Napoli che oggi registra un aumento del 94 per cento. Mentre l’ateneo più grande d’Europa, La Sapienza di Roma, si è contenuto: il carico per studenti e le famiglie è salito del 57 per cento.
Sul fronte opposto, ci sono le università virtuose, tra cui Firenze, che ha ritoccato del 4,7 per cento appena il balzello e il Politecnico di Torino, più 14 per cento. Mentre l’università pubblica più esosa in assoluto è il Politecnico di Milano, con una media di quasi mille e 700 euro. Al confronto, gli 842 euro a studente del Politecnico di
Torino e i 509 del Politecnico di Bari sono poca cosa. «Un ragazzo — dice Marco Mancini, presidente dei rettori italiani — decide di non iscriversi per due motivi: l’incremento delle tasse universitarie, di gran lunga più alto rispetto a quello degli stipendi delle famiglie, e un diritto allo studio a dir poco claudicante ». Su questo punto il nostro Paese ha la maglia nera.
«In Italia — continua Mancini — spendiamo una cifra ridicola: 260 milioni all’anno. In Francia sono un miliardo e 600 milioni, la Germania 2 miliardi. Ma di cosa stiamo parlando?».
L’aumento delle tasse – si giustificano gli atenei – è dovuto ai tagli imposti dall’ex ministro all’Istruzione Mariastella Gelmini. «A partire dal 2008-2009, il sistema universitario italiano è stato colpito da un taglio di circa un miliardo di euro (su 7,45 circa) del Fondo di finanziamento ordinario. E non mi stupisce — conclude il presidente della Crui — se le tasse siano state incrementate. Credo che, costi quel che costi, l’ultima cosa da fare è aumentarle ancora».
Le tasse poi sono solo una parte della spesa per ottenere una laurea. «Bisogna tenere conto di tutti i contributi extra, dai i test d’ingresso alla laurea», denuncia Michele Orezzi, portavoce dell’Unione degli universitari. A questi occorre sommare affitti e mensa per i fuorisede, trasporti e libri. Anche i giudici amministrativi si sono accorti che le tasse universitarie sono diventate troppo onerose. Qualche mese fa il Tar della Lombardia ha condannato l’ateneo di Pavia — che aveva superato, nel 2012, il limite di tassazione studentesca in rapporto al finanziamento statale — a restituire oltre due milioni di euro di contributi non dovuti.
Dividendo l’intera contribuzione studentesca del 2004 (più di un miliardo e mezzo) per il numero di iscritti, otto anni fa ogni ragazzo pagava mediamente 632 euro di tasse. Una cifra che nel 2012 è lievitata fino 947 euro. Un dato indicativo, certo, perché non tiene conto degli studenti esonerati. Ma dà la misura di quanto costi studiare oggi. «È indispensabile — conclude il rappresentante dell’Udu — che il governo e il ministro Carrozza pongano argini all’aumento indiscriminato delle tasse universitarie: già ora sono le terze più alte d’Europa ».
La Repubblica 05.07.13