Quanto era lunga la «lista della spesa» di Giuseppe Pegoraro? Chi altro ancora doveva punire, dopo avere ferito a colpi di pistola in Comune il sindaco Laura Prati e il suo vice Costantino Iametti, questo Rambo di provincia («ottimo tiratore», dicono i poliziotti) sospeso dal servizio perché taroccava gli straordinari? Uno che ama le armi (le deteneva regolarmente) e da ex comandante dei vigili si è trasformato in uno spietato vendicatore pianificando una strage e trascinando Cardano al Campo in una mattinata di inferno. Uno che, di fronte al magistrato, per giustificare la furia omicida cita i latini: fiat iustitia ne cives ad arma ruant, “sia fatta giustizia o i cittadini prendono le armi”. «La frase è scolpita su una facciata del Palazzo di Giustizia di Milano — ha sostenuto Pegoraro durante l’interrogatorio in Procura — . Provavo odio verso il sindaco e il vice, e non solo loro. Volevo farmi giustizia».
«Aveva dentro una rabbia enorme, non ne faceva mistero», conferma Paolo Dametto, agente della polizia municipale ed ex collega di Pegoraro. È mezzogiorno. Due ore e mezza dopo il raid in Municipio. Piazza Sant’Anastasio è ancora transennata. Gli otto cerchi di gesso disegnati sull’asfalto dagli uomini della Scientifica indicano la posizione dei bossoli sparati con una pistola calibro 7,65 dall’uomo che doveva «regolare i conti». Ventotto gradini. La scalinata che dalla strada sale su al palazzo del Comune. In mezzo, il monumento ai “caduti cardanesi di tutti le guerre”. La folle guerra personale di Giuseppe Pegoraro inizia alle 8. Sessantuno anni, celibe, senza figli, una casa a Busto Arsizio dove vive solo e custodisce una santabarbara (fucili, carabine, pistole, coltelli). Eccolo l’ex vicecomandante della stazione dei vigili di Cardano al Campo. Eccolo l’ex tutore dell’ordine finito sotto processo (condanna in primo grado per truffa e peculato assieme a altri sei dipendenti comunali) perché barava sugli orari di lavoro e gli straordinari, e per questo, su decisione del primo cittadino, era stato sospeso e poi reintegrato come amministrativo.
Ieri è la giornata dedicata agli incontri del sindaco coi cittadini. Pegoraro lo sa bene e sfrutta l’occasione per «regolare i conti» con la persona che, nella sua visione distorta, accecata dal livore, ne avrebbe stroncato la carriera (un anno fa gli era stata ritirata la qualifica di polizia giudiziaria e l’arma di ordinanza). Lei è Laura Prati, 49enne eletta nel 2012 con una lista civica di centrosinistra, molto impegnata nella lotta contro il femminicidio. Pegoraro — «ama le armi e i film di guerra» lo descrive un ex collega — aspetta le 9,30. Entra in Comune armato di due pistole. Esibisce i documenti e chiede un incontro con la Prati. E’ il «suo» momento: varcata la soglia dell’ufficio, apre il fuoco. Scarica tre proiettili addosso al sindaco, colpendola all’addome e a un braccio. Poi si dedica al vice, Costantino Iammetti, 76 anni: altri cinque colpi, tre vanno a segno. Entrambe le vittime, ricoverate negli ospedali di Varese e Gallarate, sono in prognosi riservata ma non in pericolo di vita.
Pegoraro, riferisce un addetto comunale, «sembrava impazzito, nessuno riusciva a fermarlo». Ci prova un agente, un ex sottoposto di Pegoraro. Lo rincorre fuori dal Municipio: il killer si volta e spara, il vigile risponde; un fuoco di proiettili (otto in tutto) esplosi in piazza, tra la gente, tra le grida. Senza altri feriti.
Pegoraro sale sulla sua Peugeut 106 rossa. A bordo ha altre armi: carabina con binocolo, fucile a pompa, due coltelli da caccia, 700 proiettili, molotov. Percorre 150 metri, ferma la macchina in via Mameli ed entra nella sede locale della Cgil: è il sindacato a cui l’ex vice-comandante si era rivolto per la vertenza con l’amministrazione comunale. Forse nella «lista della spesa» — parole di un investigatore per indicare l’elenco degli obiettivi di Pegoraro — c’è anche un sindacalista. Di certo c’è una ex collega vigilessa.
Nell’ufficio, una decina di persone. L’uomo ordina a tutti di uscire: poi lancia una molotov, che però non esplode. Il raptus del killer non si placa. Risale in auto, parte a tutta velocità ma, a causa di un pneumatico forato, è costretto ad abbandonare la vettura nella zona residenziale al confine con Gallarate. Polizia e carabinieri gli stanno addosso e l’uomo prosegue la fuga a piedi: imbraccia la carabina, ha il fucile a pompa a tracolla. Nei tasconi della divisa militare, pistole e coltelli. Apre di nuovo il fuoco, contro una Volante. A bloccare Pegoraro è Gianluca Dalfino, il vicequestore di polizia che guida il commissariato di Gallarate. Lo sorprende alle spalle: lui prova a voltarsi impugnando la carabina. Troppo tardi, è a terra. Dice a sera Dalfino: «Con 4 armi e 700 munizioni era deciso a fare una strage, e forse alla fine si sarebbe suicidato».
La Repubblica 03.07.13