Ora anche Monti urla tutto il suo dolore contro il governo. Così fanno in tanti, ormai. Tutti vorrebbero che dal mito di un governissimo dai risvolti epocali si scendesse subito sul più prosaico governicchio che barcolla dinanzi al primo vento e perciò nella sbandata continua ogni partner tira a salvare la pelle. Eppure Monti è il meno autorizzato a scalciare in così malo modo l’esecutivo. Per gli altri partiti il cosiddetto governo di servizio era solo una dura imposizione, legata agli eventi che non lasciavano scampo. Per Monti no. Il governissimo è stato il suo grande sogno, l’obiettivo di una vita politica spericolata, almeno per l’incredibile imperizia e per l’assoluta mancanza di visione palesata ad ogni appuntamento cruciale. Ancora adesso si vanta di essere stato un protagonista della grande politica, solo per aver impedito alla destra e alla sinistra di vincere le elezioni. E però, invece di godere il plusvalore del suo epocale trionfo, Monti si agita, invoca verifiche, minaccia fulmini e saette.
Con le truppe che poco lo stimano, proprio per le dubbie sue virtù di gran condottiero, ha ben poco da alzare i toni del ricatto. Come pure Berlusconi. Con il suo inseguimento ossessivo di un salvacondotto che nessuno potrà mai dar- gli, il Cavaliere ostenta in pubblico responsabilità e minaccia in segreto sfaceli. Ma non ha alternative, è costretto ad incassare i colpi e nessuno strumento giuridico gli può mai garantire l’impunità. Monti e Berlusconi sono il passato che non torna. Entrambi cercano di tracciare un segno, di mostrare al mondo una qualche presenza. Ma Monti è un passato logorato dal rimorso, per le occasioni avute e malamente sprecate sul più bello. Berlusconi è un passato che deve scappare dagli incubi e cerca di sopravvivere imitando Le Pen, che l’erede l’ha scovata in famiglia. La frattura sulla giustizia è la sua unica carta. E le sentenze, che pure annunciano la sua rovina, sono per il Cavaliere anche una perversa oppor- tunità da afferrare. L’opportunità di dare continuità al suo partito azienda non solo con una successione studiata in un perfetto stile dinastico ma anche regalando ai posteri un tema destinato a scaldare gli animi: la guerra santa legale-illegale, giustizialismo-garantismo.
Stretto tra le bizze di Monti e la proposta indecente di Berlusconi, che è sempre la stessa, il governo farebbe bene a tornare presto con i piedi per terra. La metafisica delle grandi riforme costituzionali non partorirà che inutili mucchi di carta. Meglio sarebbe allora un bagno di realtà. Sono possibili in questo quadro politico sfilacciato solo delle manutenzioni parziali, con il ritocco della legge elettorale, e se va bene, con qualche correttivo al bicameralismo perfetto. Gli altri castellucci di carta, cioè i mirabili progetti che ricamano su magnifici sistemi presidenziali e su splendide forme di governo, non sono che vane esercitazioni scolastiche.
Il governo dia un senso ai suoi giorni, che non saranno molti, soprattutto se gli umori prevalenti nella maggioranza che lo sostiene (si fa per dire) sono quelli esternati da Monti e da Berlusconi. Neppure la leggerezza di chi disquisisce di primarie, di gazebo, di premiership sempre contendibile (anche quando si è già a Palazzo Chigi) contribuisce a far passare bene la nottata. Invece di inseguire devianti simboli (abolizione del finanziamento pubblico) e di accarezzare l’impossibile mutamento della forma di Stato, il governo concentri le sue residue energie sul principale problema di questi anni: il contenimento della crisi.
Dinanzi ad un crisi sociale dal volto drammatico, che non accenna in alcun modo a rifluire (caduta dei consumi, aumento della disoccupazione, precarietà giovanile, difficoltà competitiva dell’industria manifatturiera), il governo dovrebbe conciliare alcune misure di breve periodo, indispensabili per impedire lo scoppio di una inevitabile rivolta sociale (mantenimento dei livelli minimi del Welfare, tutela dell’occupazione, sostegno alla domanda e al consumo), con interventi strategici a utilità differita (investimenti per l’innovazione, misure per la modernizzazione tecnologica, politiche per la ricerca).
Il problema vero dei prossimi mesi non si chiama Grillo (da addomesticare con il mimetismo di tagli ai costi della politica) né Monti o Berlusconi. Il grande nodo, quello che deciderà anche le sorti del governo e la sopravvivenza degli attori politici nel loro complesso, è la crisi sociale che non è stata curata, che anzi cammina sorda ed è pronta ad esplodere in una maniera rovinosa.
L’Unità 02.06.13