Si è spenta ieri a Trieste Margherita Hack, la «signora delle stelle ». Forse il volto più noto della scienza italiana. Certo il più amato. Con lei il Paese perde una grande figura. Anzi, un modello. Uno dei pochi modelli popolari, ma non populisti, in cui gli italiani ancora si riconoscevano. E non solo d’istinto. Margherita Hack aveva un’indubitabile capacità naturale di entrare in sintonia con le persone. Ma l’immediata simpatia che suscitava non era solo frutto della sua verve tipicamente fiorentina. Era anche e soprattutto il frutto di un «modo di vivere» il suo essere donna di scienza. Margherita era una «scienziata militante», con una fede illuministica nella forza della ragione – della ragione al servizio dell’umanità – che riusciva a trasmettere toccando la mente (e i cuori) di tutti grazie alla sua libertà di pensiero. E alla trasparente, intransigente, rigorosa, generosa, disinteressata coerenza con cui la rappresentava, la sua libertà di pensiero. Suscitando empatia anche quando navigava – e succedeva spesso – contro corrente. È con la sincerità senza calcoli che Margherita Hack, anche a novant’anni, riusciva a parlare ai giovani. A entrare in empatia coi giovani.
E stata una grande donna di scienza, Margherita Hack. Non solo perché è stata una delle prime a rompere «il tetto di cristallo» e la prima donna italiana in assoluto a dirigere un osservatorio astronomico, quello di Trieste. Ma anche e soprattutto perché, nel corso della sua direzione durata dal 1964 al 1987, lo ha trasformato da piccolo osservatorio di provincia in un centro di ricerca di valore internazionale. Lei stessa si è affermata come grande esperta di spettroscopia stellare. È stata una grande comunicatrice, Margherita Hack. Pochi, come lei, sapeva parlare di scienza catturando l’attenzione dei pubblici più differenti. Ha fondato e diretto per anni una rivista L’Astronomia. Ha scritto sui giornali (è stata una delle collaboratrici più entusiaste e seguire dell’Unità). Ha bucato il video come, forse, nessun altro scienziato italiano. Non mancava davvero occasione di parlare alla radio, con la sua inconfondibile cadenza. Ha scritto una quantità enorme di libri di successo. Ha fatto teatro. Ha tenuto conferenze, riempiendo sempre le sale. Ciascuna di queste attività – ciascuna di queste qualità – meriterebbe un approfondimento. Tuttavia la dimensione maggiore della sua figura è quella di «scienziata militante». Capace di uscire dalla «torre d’avorio» e di mettere il suo illuminismo convinto fino all’ingenuità a disposizione di tutte le cause, piccole e grandi, di progresso sociale e civile.
Animalista convinta, circondata da cani e soprattutto gatti, si è battuta per affermare uno stile alimentare rigorosamente vegetariano oltre che contro ogni sofferenza inutile inferta ai suoi amici semoventi. Atea convinta, si è battuta per il rispetto della libertà religiosa. Ecologista convinta, si è battuta per le centrali nucleari. Icona delle donne in bicicletta, si è battuta per il diritto a guidare l’auto anche in tarda età se in possesso dei giusti requisiti fisici. Femminista convinta, non si è mai pianto addosso. I diritti alla parità vanno conquistati con forza e determinazione quotidiana, diceva, da parte delle donne. Tra le cause per cui si è spesa di più c’è quella della ricerca scientifica. Ma la sua battaglia non è mai stata corporativa. Credeva che la scienza è fonte di progresso intellettuale e civile per tutti. E che i risultati della ricerca, se applicati a beneficio di tutti, sono fonte di progresso sociale ed economico generale. In questo senso intendeva anche il suo impegno nella comunicazione e a fianco dei comunicatori. Non c’è giornalista scientifico italiano che non ne abbia apprezzato l’impegno, la disponibilità e la modestia. Non c’è giornalista scientifico italiano che non l’abbia considerata un’amica.
Ma Margherita era una militante politica anche in senso tecnico. Ha dato la sua faccia e la sua voce a molti partiti, sempre di sinistra. Si è candidata a mille cariche, dal consigliere comunale e deputato nazionale. Non si è mai seduta su una sedia. Se non quella, forse, di consigliere comunale a Trieste. Molti, tra i suoi colleghi ricercatori, hanno mosso qualche critica a questa presenza continua di Margherita nella vita pubblica. Esponendoti troppo, non esponi solo te stessa – dicevano – ma anche la scienza. Ma lei alzava le spalle e tirava avanti diritto. Non ricordavano, i suoi colleghi, che quasi tutti i più grandi uomini di scienza – da Darwin a Einstein, da Russell e Bohr, da Maria a Elena Curie, da Maria Montessori a Ri- ta Levi Montalcini – sono stati «scienziati militanti» e hanno prestato nome, volto e impegno a grandi cause sociali e anche politiche. Non si accorgevano, i suoi critici (pochi per la verità), che la fiorentina Margherita non faceva diversamente. Non si accorgevano i suoi colleghi che con la sua schietta passione a favore dei più deboli, Margherita ha contribuito a «umanizzare » la scienza. Ovvero, a creare una percezione diffusa che gli scienziati sono uomini. Come gli altri. Spesso migliori degli altri. Un’operazione preziosa, in un paese che non comprende la scienza. Grazie, Margherita.
L’Unità 30.06.13