Sembra passato un secolo da quando il primo ministro inglese David Cameron, in occasione del World Economic Forum del gennaio 2011, dichiarò che le misure di austerità fiscale e la ripresa della produzione non erano affatto alternative e che, anzi, le prime avrebbero incentivato la seconda. Si trattava di una convinzione allora largamente diffusa anche nelle classi dirigenti del nostro Paese e supportata da alcuni studi per la verità già molto contestati da una larga fetta di economisti sui cosiddetti effetti espansivi delle politiche fiscali restrittive.
Oggi, alla luce della gravissima recessione in cui siamo ripiombati proprio a causa dell’austerity, non c’è praticamente più nessuno disposto a difendere le posizioni politiche che andavano tanto di moda solo due anni fa. Sebbene rimanga ancora estremamente vasto l’insieme di coloro che credono che non vi siano alternative praticabili alle politiche di bilancio restrittive, tutti ormai concordano che quest’ultime, lungi dall’essere la medicina per rilanciare la crescita, costituiscono un’ingombrante zavorra da portarsi dietro sulla strada dell’uscita dalla crisi. Tuttavia gli effetti negativi delle politiche di austerità non si limitano soltanto alla contrazione di Pil e occupazione.
Troppo spesso vengono dimenticate le conseguenze che tali politiche tendono ad avere sulla distribuzione del reddito e della ricchezza fra i cittadini. Si tratta di effetti che dovrebbero riportarci alla memoria l’esperienza che il nostro Paese provò sulla propria pelle vent’anni fa, quando l’uscita della lira dallo SME e la crisi valutaria che ne seguì, costrinsero l’allora governo ad approvare una durissima manovra di rientro. Quel pacchetto di misure permise all’Italia di uscire dall’emergenza, ma ebbe tremendi effetti redistributivi, facendo aumentare bruscamente la diseguaglianza fra ricchi e poveri con una rapidità mai registrata prima nei paesi occidentali. Parlare di effetti distributivi dell’austerità non è quindi solo una disquisizione teorica per economisti, ma è una necessità per la politica.
Una recente ricerca del Fondo Monetario Internazionale permette di mettere a fuoco meglio il problema. Lo studio passa in rassegna 173 episodi di consolidamento fiscale che hanno caratterizzato 17 paesi OCSE negli ultimi 35 anni. Tre sono gli insegnamenti più interessanti che se ne possono trarre.
Il primo è che, in media, le misure di austerità aumentano la diseguaglianza nella distribuzione del reddito sia nel breve che nel medio-lungo periodo. In altre parole, una fase di stretta fiscale colpisce in modo assai differenziato ricchi e poveri, gravando soprattutto su questi ultimi, con effetti persistenti nel tempo.
Il secondo insegnamento è che le manovre di risanamento del bilancio pubblico tendono sempre a far peggiorare la quota salari, ovvero quella fetta di reddito nazionale che va ai lavoratori a reddito fisso. La ragione risiede non solo nelle varie forme di tagli, de-indicizzazioni e riorganizzazioni che colpiscono quasi sempre il settore pubblico nei periodi di crisi, ma anche nel generalizzato aumento del tasso di disoccupazione che come abbiamo purtroppo imparato negli ultimi mesi è un risultato quasi naturale delle politiche di austerità.
Il terzo insegnamento è che i programmi di risanamento basati sulle riduzioni di spesa tendono ad aumentare la diseguaglianza molto più di quanto non facciano programmi basati sull’aumento delle tasse. Proprio quest’ultimo elemento è quello su cui sarebbe bene focalizzare l’attenzione, soprattutto in questa fase politica. La scelta delle misure restrittive da adottare per tenere il bilancio pubblico in ordine non è ininfluente dal punto di vista distributivo. Misure di valore contabile analogo come togliere una tassa o tagliare una spesa possono produrre non solo risultati diversi su produzione e occupazione, ma anche sulla distribuzione dei redditi.
Contrariamente alla retorica in voga negli ultimi tempi, la ricerca del FMI suggerisce infine che anche l’orizzonte temporale su cui vengono distribuiti i sacrifici può avere effetti sperequativi anche molto accentuati: concentrare le misure di austerità in un breve periodo di tempo tende a far aumentare la diseguaglianza molto più di quanto non facciano i programmi di risanamento spalmati su più anni. Si tratta di un monito importante da tenere presente quando si andrà a disegnare la politica macroeconomica per i prossimi mesi.
L’Unità 30.06.13