Se mai c’è stata, la luna di miele del governo Letta è già finita. La crisi continua a mordere la carne viva dell’economia e della società, l’Europa tarda a correggere la rotta verso politiche espansive e nuovi investimenti, e da noi troppi opportunisti sono tornati ad occupare la scena pubblica.
Ma, se la crisi morde e la luna di miele è finita, non per questo è finito il tempo della responsabilità verso l’Italia, che ha bisogno di cambiamenti già in questa complicatissima legislatura per fondare finalmente la necessaria svolta politica. Berlusconi ha acconsentito alla nascita del governo, ma dopo le condanne dei tribunali si è chiuso nel bunker e ha imposto alla destra di regredire allo stato primordiale: partito personale, logica patrimoniale, politica del ricatto. Non si può più dare per scontato che il Cavaliere confermi a lungo la fiducia al governo Letta. I «falchi» lo incitano anzi ad alzare la voce, a porre ultimatum, a fustigare un governo che rappresenta solo le «colombe» della destra, quelli che pensano di utilizzare il tempo del governo Letta per dare una struttura democratica e una successione non dinastica al partito di Berlusconi. Gli scontri mediatici su Imu e Iva hanno, sullo sfondo, questa sostanza politica: nel Pdl ci sono forze che puntano a far saltare il governo, che vogliono tornare a Forza Italia per ancorare la destra a un nuovo radicalismo, per tagliare i ponti con il popolarismo europeo e l’area moderata, per avere le mani libere nel contestare la stessa Costituzione.
Berlusconi tentenna. È appannato. Cerca di camuffare il ritorno a Forza Italia come un’operazione di mero marketing politico. Non ha deciso se imboccare di nuovo la via del radicalismo anti-europeo. Ma dovrà decidere presto. Perché le elezioni dell’Europarlamento sono alle porte e il suo capo-partito europeo, Angela Merkel, non attenderà a lungo. In questo travagliato contesto, Beppe Grillo ha deciso di trincerarsi nel suo bunker prima di ogni altro. Ha avuto la possibilità di dar vita a un governo senza Berlusconi, o comunque un governo senza potere di veto del Pdl. Ma si è opposto con tutte le forze a questa eventualità. Grillo ha lavorato per il Cavaliere, per accrescere il suo potere di interdizione, scommettendo sul fatto che il Pd avrebbe pagato un prezzo altissimo alla maggioranza emergenziale. Tanti suoi elettori, che lo avevano votato perché avviasse un cambiamento, lo hanno abbandonato. E lui, per tutta risposta, li ha insultati, ha espulso chiunque osasse mettere in discussione l’infallibilità del capo. Ma non è stata l’ira di un pazzo. Grillo e Casaleggio sono disposti a perdere voti (e altri parlamentari) pur di congelare il loro capitale e tenerlo disponibile solo per un’impresa radicalmente eversiva dell’esistente. Sia chiaro, anche loro non è detto che ce la facciano. Nel Movimento Cinque stelle aumentano le spinte verso la politica, verso azioni di rinnovamento concreto: e sempre più si scopre che la rivoluzione di Casaleggio ha in realtà un involucro reazionario.
Il governo Letta è al centro di queste tensioni. Ormai è chiaro che la cosiddetta «pacificazione» non è mai stata la sua cifra. Qui non c’è niente da pacificare. C’è un Paese a terra, che deve fare assolutamente qualcosa per risollevarsi, che deve giocare subito la partita in Europa per cambiare la rotta economica, che deve fare le riforme per evitare che anche le prossime elezioni siano nulle. Questo è il compito del governo Letta. E la sua missione è appena iniziata. Si può discutere se abbia fatto bene a confermare i vincoli di bilancio per il 2013, spostando al 2014 gli effetti benefici della positiva conclusione della procedura d’infrazione. Si può discutere di questo o quel provvedimento fin qui adottato. Ma ha fatto del lavoro la sua bandiera, in Italia e in Europa, e fin qui è riuscito a evitare l’impatto devastante dell’aumento dell’Iva. Anche per questo va incoraggiato, spronato, aiutato.
Non avrà vita facile Enrico Letta. Ma sarebbe il colmo se anche il Pd, con il suo dibattito congressuale, finisse per destabilizzare il governo. Sarebbe un atto suicida, come lo sono state le assurde defezioni a scrutinio segreto durante le elezioni presidenziali. Il Pd deve spingere il governo a fare di più su lavoro e sviluppo. Deve accorciare le distanze con le parti sociali e costruire un’alleanza per lo sviluppo. Deve battersi in Europa con i progressisti affinché le prossime elezioni europee siano vere e proprie elezioni politiche sul destino del Continente e sulle sue politiche. Deve lavorare per le riforme possibili: il semi-presidenzialismo è anzitutto irrealistico perché richiederebbe una riscrittura dell’intera seconda parte della Carta; mentre la linea della conservazione assoluta rischia di rendere cro- niche le torsioni della seconda Repubblica. Il solo modo per salvare la Costituzione è rafforzare il sistema parlamentare con serie e limitate modifiche. È questo il ruolo nazionale della sinistra. Se il Pd eviterà di trasformare la scelta del segretario in una nuova smaniosa rincorsa a Palazzo Chigi, aiuterà anche chi nel centrodestra e tra i Cinque stelle oggi contrasta il potenziale eversivo dei loro capi.
L’Unità 30.06.13