La violenza contro le donne è un fenomeno globale, una tragedia di enormi dimensioni: in tutto il mondo circa un terzo delle donne ha sperimentato sulla propria persona episodi di violenza, nella gran parte dei casi commessi dal partner. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la prima volta dedica un rapporto specifico a questo tema, descrivendone le dimensioni e le conseguenze sulla salute delle donne, indicando anche il ruolo essenziale che i servizi sanitari sono chiamati a svolgere.
Le dimensioni del fenomeno
“La violenza contro le donne non è un fenomeno nuovo, come non lo sono le sue conseguenze sulla salute fisica, mentale e riproduttiva delle donne. Ciò che c’è di nuovo è la crescente consapevolezza che gli atti di violenza contro le donne non sono eventi isolati, ma piuttosto un tipo di comportamento che viola di diritti delle donne e delle ragazze, che limita la loro partecipazione alla società e danneggia la loro salute e il loro benessere. Quando studiata sistematicamente, come è stato fatto in questo Rapporto, appare chiaro che la violenza contro le donne è un problema globale di salute pubblica di proporzioni epidemiche che interessa un terzo delle donne nel mondo”.
Con queste affermazioni si apre il Rapporto prodotto dall’OMS in collaborazione con la London School of Hygiene and Tropical Medicine e con il South African Medical Research Council (per scaricare il Rapporto).
Il Rapporto prende in considerazione due differenti tipi di violenza contro le donne: a) quella fisica o sessuale commessa dai partner e b) quella sessuale commessa da non-partner. Complessivamente il 35% delle donne nel mondo hanno subito una violenza di questo tipo.
La più frequente è quella commessa dai partner, con un dato globale del 30% delle donne vittime di violenza, con differenze regionali descritte nella figura. La maggiore prevalenza della violenza contro le donne si registra in Medio Oriente (37%) e in Africa (36,6%), la minore nei paesi ad alto reddito (23,2%).
La ricerca ha rilevato che l’esposizione alla violenza è già molto alta tra le giovani donne (età 15-19 anni) con una prevalenza del 29,4% e raggiunge il massimo picco nella fascia di età 40-44 anni con una prevalenza del 37,8%.
Inoltre il Rapporto rileva che il 38% degli assassini di donne sono commessi dal proprio compagno.
Il fenomeno della violenza sessuale commessa da altri soggetti (non-partner) è più ridotto e interessa globalmente il 7% delle donne.
Le conseguenze sulla salute e il ruolo degli operatori sanitari.
Le donne che subiscono violenza presentano rilevanti di problemi di salute, oltre a quelli direttamente provocati dalle aggressioni. Dal punto di vista della salute riproduttiva vivere in ambiente violento è associato a una maggiore probabilità di avere un aborto, di partorire prematuramente e di avere neonati con basso peso alla nascita. L’esposizione a eventi traumatici aumenta inoltre la probabilità di andare incontro a problemi di salute mentale, di diventare alcoliste, di tentare il suicidio e – in alcune realtà – di contrarre un’infezione HIV.
Il Rapporto rivela che in molti paesi è ancora bassa la consapevolezza che la violenza contro le donne sia un grave problema di salute (e non solo giudiziario o di ordine domestico), e in alcune realtà l’attitudine degli operatori sanitari verso le donne che denunciano una violenza è più negativa che di sostegno. Per questo motivo il Rapporto contiene delle raccomandazioni sui compiti e sui doveri degli operatori sanitari che si trovano a dover affrontare situazioni di violenza contro le donne, tra cui le principali sono:
· La visita deve avvenire in un ambiente che garantisca la massima riservatezza, fornendo alla donna il massimo supporto psicologico e raccogliendo fedelmente – validandole – tutte le informazioni che la donna riferisce.
· Gli interventi clinici devono includere l’offerta di contraccezione d’emergenza e di profilassi post-esposizione HIV.
La rivista Lancet ha dedicato un editoriale (leggi qui) al Rapporto OMS, facendo notare – a proposito di un altro aspetto della violenza contro le donne – che il governo britannico ha lanciato una campagna contro le mutilazioni genitali femminili (MGF) nel mondo (con un finanziamento di 35 milioni di sterline), ma ben poco è stato fatto all’interno del Regno Unito per aiutare le 22 mila ragazze a rischio di MGF e delle 66 mila donne che hanno subito una tale mutilazione. Purtroppo – osserva Lancet – nonostante una legge del 1985 consideri illegale tale pratica, mai nessuno è stato incriminato per questo.
L’Unità 29.06.13