Bread and roses è il titolo di una poesia di James Oppenheim ripreso come slogan durante lo sciopero dei lavoratori tessili di Lawrence, Massachusetts, che nel 1912 incrociarono le braccia per 63 giorni chiedendo salari più equi e condizioni di lavoro più dignitose. Il pane e le rose, l’indispensabile, il minimo vitale insieme alla cultura e alla bellezza. Rovesciando questo slogan oggi dovremmo chiedere rose e pane, perché dalla bellezza e dalla cultura si produce ricchezza. Per convincersene basta scorrere i dati del Rapporto 2013 “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi” elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere con la collaborazione dell’assessorato alla Cultura della Regione Marche, presentato a Roma martedì scorso.
Mentre nel 2012 il tessuto produttivo del Paese rimaneva immobile, le imprese del sistema produttivo culturale sono cresciute del 3,3% sull’anno precedente, arrivando quasi a quota 460 mila, il 7,5% del totale delle attività economiche nazionali. E nell’insieme le imprese del sistema cultura creano 75,5 miliardi di euro di valore aggiunto, equivalente al 5,4% del totale dell’economia, dando lavoro a quasi 1,4 milioni di persone, pari al 5,7% degli occupati del Paese. Estendendo il calcolo dal sistema produttivo culturale privato anche a quella di PA e no-profit, il valore aggiunto della cultura arriva a 80,8 miliardi, pari al 5,8% dell’economia nazionale. Nel 2011 la quota era pari a 5,7%. Nonostante le difficoltà, quindi, le imprese culturali confermano una certa capacità di reazione anticiclica.
Le imprese della cultura – industrie culturali (film, video, mass media, videogiochi, software, musica, libri e stampa), industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design, made in Italy), patrimonio storico-artistico architettonico, performing art e arti visive – attivano inoltre nel resto dell’economia altri 133 miliardi di euro. In tutto fa 214 miliardi: un valore aggiungo pari al 15,3% circa del totale dell’economia nazionale. In altri termini il sistema produttivo culturale vanta un moltiplicatore pari a 1,7: per ogni euro di valore aggiunto prodotto da una delle attività di questo segmento, se ne attivano altri 1,7 sul resto dell’economia, ad esempio nel turismo legato alle città d’arte. Quindi gli 80,8 miliardi di euro prodotti nel 2012 dall’intero sistema produttivo culturale riescono ad attivarne quasi altri 133, arrivando così a costituire una filiera culturale intesa in senso lato di, appunto, 214 miliardi di euro. Dimostrando che le industrie culturali sono un fattore trainante per il sistema Paese.
“Il rapporto – spiega Domenico Sturabotti, direttore della Fondazione Symbola – evidenzia da tre anni come la cultura rappresenti un fattore competitivo strategico per tanti comparti della nostra economia. Le produzioni culturali e creative oltre ad alimentare l’immagine del nostro paese nel mondo, rappresentano materia prima per dare significato e valore alle cose: dal territorio alla manifattura, passando per la moda, il design, l’architettura e anche per il cibo. La cultura ha e dovrá avere sempre piú un ruolo centrale nella nostra economia, perché è il fattore che rende unici e riconoscibili i nostri prodotti e il nostro modo di vivere e pensare. Tanto più oggi nell’era della comunicazione”
Sacrificata spesso sull’altare dell’austerità, la cultura dimostra una capacità di reazione anticiclica migliore rispetto a quella del totale della nostra economia: confrontando la performance in termini di valore aggiunto ottenuta dal settore cultura nel 2012 con quella del 2011, infatti, la flessione è contenuta al -0,3% rispetto al -0,8% del resto dell’economia. Tenuta e reattività superiore alla media sono ancora più evidenti per l’occupazione dovuta alle imprese culturali: rispetto 2011 la cultura da lavoro a uno 0,5% in più di italiani a fronte del -0,3% complessivo degli occupati del Paese. Al prodotto e all’occupazione contribuiscono soprattutto le industrie creative (47,1% di valore aggiunto, 53,3% di occupazione) e le industrie culturali (rispettivamente 46,4% e 39%), e solo in piccola parte performing arts e arti visive (5,1% e 6,0%) e patrimonio storico-artistico (1,4% e 1,6%).
Anche sul fronte export la cultura vola, tanto che la bilancia commerciale del comparto nel 2012 ha registrato un attivo per 22,7 miliardi di euro. Lo scorso anno infatti le esportazioni hanno sfondato i 39,4 miliardi di euro, equivalenti al 10,1% dell’export complessivo nazionale, mentre l’import si è attestato sui 16,7 miliardi di euro, il 4,4% del totale. La quasi totalità delle esportazioni culturali provengono dalle industrie creative, che veicolano la ricchezza dei nostri contenuti culturali attraverso l’artigianato e il made in Italy. Buona anche la dinamica dell’export culturale: +11,5% medio annuo nel triennio 2009-2011 e +3,4% nel 2012, in controtendenza le importazioni.
Interessante inoltre la capacità attrattiva della cultura sul turismo: se nel 2012 la spesa turistica ha toccato i 72,2 miliardi di euro, ben 26,4 di essi sono stati attivati dalle industrie culturali.
“La collaborazione della Regione Marche con Symbola e Unioncamere alla realizzazione di questo rapporto – commenta l’assessore alla Cultura della Regione Marche Pietro Marcolini – fa parte di una strategia di sviluppo a base culturale. Il Rapporto è uno strumento conoscitivo estremamente utile per capire le innovazioni e le tendenze della nostra economia e come si posizionano le Marche rispetto ai trend emergenti. Anche quest’anno la nostra si conferma una delle regioni con la migliore performance culturale: dalle industrie di questo comparto arriva, infatti, oltre il 6% del valore aggiunto della nostra economia, incidenza per la quale siamo secondi soltanto al Lazio. Si tratta di un dato che corrobora l’investimento dell’istituzione regionale che punta a fare della cultura un vettore trasversale alle diverse politiche settoriali. Emblematico in questo senso è il progetto del Distretto culturale evoluto delle Marche, il cui primo avviso pubblico, chiusosi recentemente, ha registrato la presentazione di ben 20 progetti d’interesse regionale”.
Quanto alle macroaree geografiche, è il Centro a fare la parte del leone con il 6,1% del valore aggiunto. Seguono da vicino e Nord-Ovest, che dall’industria culturale crea il 5,9% della propria ricchezza, e il Nord-Est, che sempre dal settore delle produzioni culturali vede arrivare il 5,5% del valore aggiunto. Si ferma al 3,9% il Mezzogiorno. Una dinamica che si riflette anche per l’incidenza dell’occupazione creata dalla cultura. In testa alla classifica regionale per incidenza del valore aggiunto della cultura sul totale dell’economia, ci sono quattro realtà in cui il valore del comparto supera il 6%: Lazio, Marche, Lombardia e Veneto.
Il Sole 24 Ore 27.06.13