Si lavora all’aperto, anche se c’è bufera. Si entra nella stiva delle navi. Si deve essere bravi «nell’imbraco e nello sbraco delle merci». Si presentano in 105 per conquistare — anzi, per sperare di conquistare — un posto di lavoro. Qualifica: «addetto al carico e allo scarico delle merci in ambito portuale». In breve, un posto da portuale, non fisso, ma interinale. I venti «posti» in palio non danno diritto a un’assunzione. Si tratta invece di pass di accesso per un corso di formazione, partecipazione gratuita ma nessun rimborso, nemmeno le spese. Ma la crisi è pesante, anche in
questa riva adriatica. E così gli addetti alla selezione forse non si meravigliano troppo, quando fra i candidati trovano due laureati in ingegneria e due in giurisprudenza. Bocciati. Ci sono anche sei ragazze.
Respinte.
L’iniziativa è stata presa dalla Rete portuale, associazione delle dieci imprese private che lavorano nel porto e che finalmente hanno deciso di cercare un futuro assieme invece di farsi soltanto concorrenza. «La selezione — mette le mani avanti Barbara Napoliello, presidente dell’associazione — non l’abbiamo fatta noi direttamente. Ci siamo affidati a un’agenzia. I laureati esclusi? Quello del portuale è un lavoro manuale. Confrontando i curriculum, sono state scelte persone fortemente motivate a fare questo lavoro e a farlo per sempre. Per chi invece ha titoli alti, non credo che il porto possa essere una scelta di vita». Anche tutte le donne non entreranno nel corso di formazione. «L’esclusione non è stata fatta in via pregiudiziale. Ci mancherebbe altro. Anche qui l’unico criterio adottato è la comparazione dei curriculum».
Per entrare nei vigili del fuoco, le donne debbono superare le stesse prove (anche di forza fisica) dei colleghi maschi, e tante superano l’esame. Il porto di Ortona è invece ancora un tabù. «Forse — dice Barbara Napoliello — i selezionatori hanno fatto questo ragionamento: se diamo la precedenza ai laureati, che lavoro potranno mai cercare quelli che hanno soltanto il diploma o la terza media?». Il corso è iniziato ieri, duecento ore di lezione. «Vogliamo che il porto cresca — dice Achille Bottega, che rappresenta una delle dieci aziende private — e allora abbiamo bisogno di gente preparata. Ai selezionatori abbiamo detto che i candidati debbono sapere cosa sono una nave e un porto. Debbono essere disposti a lavorare con le mani e a farlo anche quando c’è il maltempo. E sono obbligati a conoscere l’inglese tecnico, quello che si parla nei porti, non a Oxford». Fra un mese e mezzo, a fine corso, i promossi saranno «affidati» a un’agenzia interinale. Questa, in collegamento con la Compagnia portuale (che oggi conta soltanto due addetti) li distribuirà poi alle dieci aziende della Rete portuale. Un dipendente diretto di queste aziende ha un salario di circa 1.200 euro al mese. «Un interinale che lavori 20 giorni al mese — dice Achille Bottega — guadagnerà gli stessi soldi». Se invece lavorerà dieci giorni, si dovrà accontentare di 600 euro. Anche meno, se non ci sono navi in arrivo o in partenza.
Nel porto abruzzese nel 2012 sono arrivare 337 navi e ne sono partite 342. In tutto sono state movimentate 1.721.910 tonnellate di merci. «Ma abbiamo grossi problemi di pescaggio — dice il sindaco, Enzo D’Ottavio — perché da due anni il prelievo di sabbia è bloccato, dopo una denuncia del Wwf secondo il quale la sabbia era
inquinata. Si è accertato che non è vero, ma il blocco resiste ancora. E così ad esempio il pastificio De Cecco deve caricare a Napoli le navi che portano la pasta in tutto il mondo». Il porto croato di Ploce, terminale del Corridoio paneuropeo n° 5, è proprio davanti a Ortona, dall’altra parte dell’Adriatico. «Il mare — dice il sindaco — è il nostro futuro. Abbiamo una buona agricoltura, con il Montepulciano d’Abruzzo e altri ottimi vini, ma basta una grandinata come quella arrivata ieri per rovinare tutto. Il porto, con tanti scambi internazionali, deve diventare la nostra ricchezza». Difficile però parlare di modernità e futuro quando i candidati a un precario posto da portuale, se ingegneri, avvocati o semplicemente donne, vengono bocciati. «Le novità, anche da noi — dice il sindaco — debbono essere digerite. Ci sono ancora steccati mentali e culturali che vanno superati. Ma bisognerà davvero superare questo gap, se vogliamo creare un feeling fra la città e il porto, come esisteva un tempo».
Inutile cercare i candidati donne o laureati. «I nomi li ha soltanto l’azienda che ha fatto la selezione — dice Barbara Napoliello — e poi c’è la privacy». Sarebbe interessante conoscere cosa li ha spinti verso un mestiere pericoloso e difficile che era stato quasi abbandonato: fino a 15 anni fa nella Compagnia lavoravano almeno venti portuali. Le indicazioni delle aziende sono state comunque rispettate. Diciassette degli ammessi sono di Ortona, gli altri tre sono dei paesi della costa. Le navi e il porto — almeno dalla splendida passeggiata di Ortona — li hanno visti.
La Repubblica 26.06.13