Valutazione degli sforzi per favorire la competitività, l’occupazione e la crescita, con un accento particolare sulle iniziative per promuovere l’occupazione giovanile e il finanziamento dell’economia”. È quel che si legge al secondo punto dell’ordine del giorno che gli sherpa hanno preparato per il Consiglio europeo che si terrà domani e venerdì a Bruxelles. Il linguaggio dei comunicati brussellesi non è particolarmente esplicito, e così, almeno fino a ieri, non era dato sapere se, quanto e come i funzionari che preparano l’incontro tra i 27 leader (l’ultimo a 27 perché dal 1° luglio ci sarà anche la Croazia) avranno risposto alle forti pressioni del governo italiano perché il vertice che conclude il semestre della presidenza di turno irlandese passi se non alla storia almeno alle cronache come l’appuntamento che segna una svolta nell’impegno dell’Unione sul fronte della lotta alla disoccupazione giovanile: “15 milioni di ragazzi senza prospettiva”, come ha ricordato Enrico Letta, reclamando l’urgenza di far “ripartire l’Europa” proprio dalla consapevolezza della insostenibilità di questo dramma. Il capo del governo italiano ha messo le mani avanti, spiegando che non basteranno generiche dichiarazioni di intenti, ma il Consiglio dovrà prendere “misure che parlino ai nostri giovani e affrontino le loro esigenze e le loro aspirazioni”. Benissimo. Ma alla vigilia del vertice non è affatto chiaro quali potrebbero essere le misure da prendere a livello europeo e nei singoli paesi né con quali risorse dovrebbero essere sostenute per andare oltre le “dichiarazioni di intenti”. Ieri circolava qualche indiscrezione secondo la quale la prima bozza di conclusioni del Consiglio conterrebbe un generico impegno a “portare a termine i preparativi per rendere operativo entro gennaio il Fondo per l’occupazione giovanile dell’Unione”. Si tratterebbe di un anticipo al biennio 2014 – 2015 dei 6 miliardi del programma “Youth Guarantee” la cui erogazione era stata precedentemente spalmata su 7 anni. Ma, ammesso che le indiscrezioni siano attendibili, 6 miliardi da dividere su due anni e tra 27 (anzi, dal 1°luglio 28) paesi non sono davvero troppi. La quota dell’Italia si aggirerebbe sui 500 milioni, a fronte del programma da un miliardo di euro che è stato illustrato da Letta e che dovrebbe essere la parte italiana del “piano di azione comune” alla cui approvazione da parte del Consiglio punta Roma. Il programma illustrato dal capo del governo può rappresentare certo un contributo, ma va considerato il fatto che contiene misure a carattere prevalentemente nazionale, difficilmente estensibili alle condizioni di altri paesi: sgravi fiscali per chi assume giovani, aiuti per la creazione di nuove imprese, stage e tirocini, ritocchi alle regole sui contratti precari e così via. L’unica proposta di dimensione davvero europea è l’idea di creare un’agenzia per il lavoro a livello dell’Unione. L’”Erasmus del lavoro” dovrebbe allargare un programma che esiste già, “YourFirstEURESJob”, ma che è di dimensioni assai limitate, sull’ordine dei 5 mila posti di lavoro offerti a giovani disposti a spostarsi da un paese all’altro. A occhio e croce questa parte del progetto dovrebbe incontrare il favore dei paesi del centro e del nord Europa, che già ora stanno facendo una politica di incentivi per i giovani provenienti dai paesi dove il lavoro manca di più. Ma non può essere il pezzo forte di quel “piano di azione comune” di cui ha parlato il capo del governo italiano. Perché ci sia davvero una svolta, occorrono decisioni con una solida base di investimenti. Ben venga, se ci sarà, l’anticipo dei sei miliardi, ma per dare concretezza alle proprie ambizioni, il governo italiano dovrebbe proporre l’intervento massiccio della Banca europea degli investimenti e l’attivazione di tutte le risorse reperibili nel bilancio comunitario. Ma, soprattutto, dovrebbe porre sul tappeto la cosiddetta “golden rule” ovvero la possibilità di stralciare dal computo del debito le spese per investimenti, almeno quelli vòlti a combattere la disoccupazione. Tutti sanno che su questo fronte sarà impossibile sfondare almeno fino alle elezioni tedesche, perché da Berlino arriva un altolà che il governo Monti, a suo tempo, ebbe la colpa di sottovalutare o addirittura nascondere agli italiani. Ma la battaglia si può cominciare a combatterla da adesso. Su questo piano ci sono, per ora, gli impegni presi nel Consiglio europeo di febbraio.
L’Unità 26.06.13