In uno stato di diritto le sentenze si rispettano. Ovviamente si discutono, si criticano, ma le parole usate ieri da molti dirigenti del Pdl, compresi alcuni ministri, sono assolutamente intollerabili. Tecnicamente eversive. Non brinderemo mai per la condanna di una persona, chiunque essa sia, ma la giustizia non può essere amministrata in altro modo se non attraverso le procedure previste dall’ordinamento: ecco perché ci si difende nei processi, non dai processi.
Ecco perché i gravissimi commenti, misti a minacce e insulti, seguiti ieri al giudizio di primo grado del Tribunale di Milano, rappresentano un’aggressione alle istituzioni, al bene comune, al senso minimo del dovere che regola la vita di una comunità.
Farebbero bene Berlusconi e i fedelissimi a ripensare piuttosto ai modi arroganti e offensivi con i quali hanno condotto la strategia difensiva in questi mesi. Offensivi verso le istituzioni, ma anche verso il buon senso. Berlusconi ha sostenuto che Ruby fosse la nipote di Mubarak, non solo davanti ad una funzionaria di polizia, ma poi anche in un dibattito parlamentare, ritenendo sufficiente la protezione della maggioranza politica pro-tempore. Berlusconi e i suoi avvocati hanno provocatoriamente negato le evidenze, hanno usato espedienti dilatori, hanno cercato lo scontro istituzionale con i magistrati, hanno tentato in modo spregiudicato di servirsi del potere del capo del governo: il tutto con l’obiettivo di sottrarre un imputato al processo. Una linea costante nel tempo, che ha colpito il Paese. La recente sentenza della Corte costituzionale è stata di per sé una dura condanna ai comportamenti dell’ex premier, perché ha denunciato pubblicamente la violazione del principio di leale collaborazione istituzionale. Vogliono ancora continuare così? Vogliono alzare la posta del conflitto? Vogliono sostenere che Berlusconi non può essere giudicato perché unto del Signore?
Dicono che c’è un pregiudizio, una persecuzione. Ma i reati contestati sono di una gravità enorme. Sono un macigno per un uomo pubblico, costituzionalmente chiamato a servire con decoro e disciplina le istituzioni. Ci disgustano e ci spaventano le scene di chi agita il cappio, o lancia le monetine, o sventola le manette. Ma è ancor più inaccettabile che la seconda forza politica del Parlamento faccia dell’immunità del suo Capo la sua priorità programmatica, peraltro dopo che questa è stata la priorità del governo Berlusconi.
Concussione e costrizione alla prostituzione: di questo stiamo parlando. Ma solo un Paese senza dignità può far finta di nulla.
Peraltro, la storia di Ruby non è la sceneggiatura di un film di quart’ordine: il bunga bunga e la nipote di Mubarak sono diventati le formule-chiave del discredito italiano nel mondo nella degenerazione dei governi Berlusconi. Qualcuno del centrodestra davvero pensa ancora che il loro «padrone» possa uscire da questa vicenda con un atto di forza, con un salvacondotto, con una gogna imposta ai magistrati? Ma di quale mondo parlano? Ma si rendono conto della responsabilità della politica in questa drammatica crisi, in cui milioni di persone scivolano nella povertà, perdono il lavoro, mangiano di meno alla fine del mese? Qualche perverso fantasista ha persino immaginato di proporre Berlusconi come senatore a vita, oppure di battezzare il governo Letta come «pacificatore», intendendo con ciò l’impunità garantita al Cavaliere.
Invece la legge è uguale per tutti. La politica deve essere ancor più severa con se stessa di quanto non sia la legge con i cittadini (bene ha fatto ieri Iosefa Idem a dimettersi). E il diritto va rispettato, anzitutto non piegandolo alla convenienza politica. Se Berlusconi sarà condannato, la condanna dovrà essere eseguita nei termini previsti. L’essere leader del centrodestra non è un’attenuante, né un’aggravante. Se fosse confermata in Cassazione l’interdizione dai pubblici uffici, il Senato non potrà sottrarsi a votare la decadenza. Per la stessa ragione, una maggioranza politica non può cambiare oggi la prassi sull’ineleggibilità di Berlusconi: sarebbe come tradire il carattere giurisdizionale di quella decisione, che pure è affidata alla giustizia domestica del Parlamento. La legge e il diritto si rispettano se la politica rispetta il proprio limite ed evita l’invasione di campo.
Berlusconi dovrebbe riflettere su quanto è costato all’Italia il suo comportamento, e quanto costa oggi la reazione del suo partito alla sentenza. Il centrodestra è a un bivio strategico. Deve scegliere tra due strade. O sostiene il governo Letta, fino a consentirgli le riforme istituzionali ed elettorale, e usa questo tempo per darsi una struttura democratica interna e una successione a Berlusconi, oppure si chiude nel bunker del Capo, confermando il carattere personale, anzi proprietario, di quel non-partito. È una scelta importante, che avrà riflessi sull’intero sistema. Perché avremmo bisogno di un centrodestra aperto, democratico, come nel resto d’Europa. Non tocca a noi chiedere a Berlusconi di fare il passo indietro. Ma la realtà è che oggi due leader su tre, nel nostro strano tripolarismo, sono già leader extra-parlamentari. Così il rischio Italia è più alto.
L’Unità 25.06.13