«Il Colosseo non resterà mai più chiuso. Non può più accadere». E ancora: «Devo chiedere scusa. Se è stato offeso il direttore degli Uffizi e insieme a lui molti altri bravissimi direttori di museo, il ministro non può che scusarsi. Fanno un lavoro enorme, con uno stipendio scandalosamente inadeguato: è assurdo che si finisca per svilire i loro sforzi. Bisogna cambiare passo». ASETTE settimane dall’insediamento del governo, Massimo Bray rilascia la sua prima intervista nel giorno più lungo per il Colosseo, chiuso per assemblea sindacale fino alle 11 con i turisti rimasti fuori. Pugliese, 54 anni, laurea in Lettere a Firenze, è approdato al Collegio Romano dopo una lunga esperienza alla direzione editoriale della Treccani e alla Fondazione Italiani/ Europei. L’incontro avviene anche a pochi giorni da una circolare, firmata dalla segretaria generale del suo ministero — Antonia Pasqua Recchia — che costringe direttori di musei, responsabili di siti archeologici e funzionari della soprintendenza a una scadenza triennale. Un provvedimento che — se non corretto per tempo — finirebbe per stremare definitivamente il corpo già consunto dei Beni Culturali.
Ministro Bray, come intende intervenire?
«Il linguaggio della normativa appare molto brusco, ma voglio assicurare che tutti coloro che hanno lavorato bene resteranno al loro posto. È un impegno che intendo onorare».
Ma c’era bisogno di questa circolare? Per molti è una beffa: oltre le difficili condizioni di lavoro, anche il sospetto di corruzione…
«Il provvedimento risponde a una sollecitazione della normativa europea, poi bisogna vedere l’obbligatorietà della sua applicazione.
Ho chiesto un approfondimento su questo. Ripeto: chi ha lavorato bene non sarà spostato».
Salvatore Settis fa notare che chi ha scritto quella circolare ignora completamente cosa vuol dire conoscere un territorio e tutelarlo. E che l’effetto potrebbe essere quello di paralizzare la tutela. Lei era stato informato dalla dottoressa Recchia?
«Appena l’ho saputo, ho cominciato a pensare quali potessero essere le soluzioni più adeguate. Sicuramente bisogna mettere mano a un assetto organizzativo che in molti punti va rivisto. Anche per questo sto per nominare una commissione che si occuperà della riorganizzazione del ministero, oltre che del rapporto con i privati e dell’integrazione tra Turismo e Beni Culturali. Questa integrazione può rappresentare la vera scommessa per il futuro, anche in vista dell’Expo ».
Fermiamoci alla riorganizzazione del ministero. La tendenza degli ultimi anni è stata quella di rafforzare il corpaccione burocratico, indebolendo la parte che provvede alla tutela del territorio. Pensa di andare in controtendenza?
«Esiste un problema di pesi e misure tra burocrazia centrale e tutela del territorio, che occorre riequilibrare. Sono persuaso che bisogna potenziare le soprintendenze e le direzioni dei musei e dei siti archeologici. Abbiamo strutture che si reggono in piedi per miracolo, grazie alla tenacia di alcuni servitori dello Stato. È ovvio che non possiamo permetterci di offenderli, ma dobbiamo al contrario valorizzarli, con adeguati strumenti e un opportuno riconoscimento economico. Questo rappresenta un cambio radicale di mentalità».
Vuol dire che non accadrà più un episodio come quello della circolare di pochi giorni fa?
«Vuol dire che, più il ministero sarà una macchina efficiente, più il ministro avrà accesso rapido alle notizie, anche dalla periferia. Oggi, per comunicare, possono passare anche alcuni giorni. La scelta della commissione è anche in relazione alla spending review
che ci impone tagli molto severi: in questo modo evito di attuare i tagli così come ci sono stati chiesti».
Come funzionerà il nuovo organismo? Come lei sa, già il termine ‘commissione’ suscita molte diffidenze…
«No, qui si tratta davvero di cambiare le cose. Il modello è quello anglosassone. Personalità di alto profilo tecnico faranno una serie di audizioni con coloro che operano nel territorio. Alla fine sarà stilato un piano preciso di proposte, che il ministro porterà all’interno del governo. A questa commissione sarà affiancata una più piccola, che preparerà un codice per la manutenzione del paesaggio: anche qui occorrono regole certe».
Ma le risorse ci sono? Quelle dei Beni Culturali
sono sempre più irrisorie: lo 0,2 per cento della spesa pubblica, rispetto all’1 per cento della Francia e 1,5 per cento della Germania.
«Arrivato al ministero, ho trovato 8 mila bollette non pagate per un totale di 40 milioni di euro. Per le emergenze così frequenti in Italia, il fondo è passato da 87 milioni del 2007 ai 27 milioni del 2013. E il programma ordinario dei lavoro pubblici — quello con cui facciamo la tutela del territorio — è precipitato da 200 milioni del 2006 ai 47 milioni del 2013. Questo è il bilancio che ereditiamo. Ora mi aspetto che si trovino ben altre risorse».
Ma che cosa la induce a ottimismo?
«Sono convinto che il premier Letta voglia mettere al centro del programma di governo l’emergenza culturale. Mi ha anche chiesto di preparare un piano di lavoro».
Tradotto in cifre, quanto si aspetta? Intanto il Colosseo è rimasto chiuso per lo sciopero dei lavoratori del Mibac.
«Non posso indicare numeri. Mi aspetto però di avere le risorse per alcune priorità. Innanzitutto la questione del personale, ridotto allo stremo. E poi interventi urgenti. Entro dicembre, devono partire i cantieri per Pompei, trovando il modo di utilizzare le risorse europee. Mi piacerebbe mettere in moto un sistema virtuoso sulle dimore borboniche intorno alla reggia di Caserta. E vorrei realizzare un archivio del Novecento, utilizzando una delle nostre caserme. Molti dei nostri archivi sono in affitto, e noi paghiamo cifre assai consistenti».
La nuova commissione si occuperà anche del rapporto tra pubblico e privato. In che modo sarà formulato?
«Vorrei regole certe e capacità da parte dello Stato di controllare il lavoro dei privati: i servizi che offrono non sempre sono all’altezza. In queste settimane ho potuto fare un paragone tra le caffetterie e i bookshop del Metropolitan a New York e quelli dei nostri musei: il confronto è impressionante. Non riusciamo neppure a fare le gare per appaltare molti dei servizi: tutto questo deve finire».
La sponsorizzazione dei privati può presentare stili diversi. C’è il modello Della Valle, che sfrutta l’immagine del Colosseo per fini di marketing. E il modello del mecenate americano Packard, che ad Ercolano finanzia la manutenzione ordinaria e il suo marchio non compare da nessuna parte.
«Mi auguro che gli imprenditori italiani si convincano che si tratta di valorizzare un bene culturale, non di sfruttarlo sul piano commerciale: chi pensa esclusivamente al proprio ritorno economico non troverà nel ministro un alleato ma un freno sicuro. E regole chiare glielo impediranno».
Ora lei si deve misurare con la crisi delle fondazioni musicali.
«Da qui a una settimana potremo vedere chiudere il Maggio Fiorentino, una delle più prestigiose rassegne musicali. Stiamo cercando una soluzione che ne garantisca il proseguimento. Mi sembra però che questa ed altre vicende ci spingano verso una grande riforma. Disponiamo di 14 fondazioni, pochissime in equilibrio di bilancio: complessivamente il debito ammonta a 330 milioni di euro. Non è possibile che lo Stato sia chiamato a pagare a pie’ di lista forme di gestione non certo ottimali. È il momento di restituire alle istituzioni pubbliche la possibilità di intervenire nell’amministrazione di queste fondazioni».
Al Maxxi erano attesi nuovi fondi dai privati.
Per questo era stata chiamata Giovanna Melandri, affiancata da figure come quelle di Beatrice Trussardi e Monique Veaute. Sono arrivati questi finanziamenti?
«Ho appena ricevuto dal Maxxi il bilancio del 2012: il nostro ministero vi ha investito 3 milioni e 400 mila euro, l’attività dei privati ammonta a un milione e 300 mila euro. Nel 2013 ci si chiede un impegno maggiore. Anche qui c’è qualcosa che va rivisto. Lo Stato non può essere chiamato solo per ricavarne fondi, ma deve essere coinvolto nella gestione e nella parte scientifica. I comitati tecnici mi aiutano: erano stati colpevolmente aboliti, e io sono riuscito a ripristinarli. Significa poter contare su competenze rigorose, e non sulla discrezionalità di qualche dirigente a cui era stato dato troppo potere».
Ministro Bray, ma se domani Letta non le desse le risorse che lei si aspetta, sarebbero pronte le sue dimissioni?
«No. Più che di atti individuali, il paese ha bisogno di fare sistema. Le attese dei cittadini sono enormi, e le classi dirigenti hanno l’obbligo di non ignorarle».
La Repubblica 24.06.13