Ormai ci stiamo rassegnando alla precarietà. Alla provvisorietà come condizione stabile. Può apparire un discorso scontato, ma per questo è più significativo. Perché ci capita di ascoltarlo e di ripeterlo ogni giorno. In automatico. A proposito del lavoro, dei giovani, dell’economia, del mercato. Della politica. Già: la politica. Che offre rappresentanza e rappresentazione agli orientamenti e ai comportamenti pubblici dei cittadini. È il teatro della provvisorietà. Oggi: perché il domani non è pre-visto. In fondo, il governo guidato da Enrico Letta è “a tempo”. Non è stato formato per governare fino al termine della legislatura. Ma per fare le riforme necessarie a sbloccare il Paese bloccato. Per mantenere i conti in ordine, rilanciare lo sviluppo. Per rispettare i patti con l’Europa e i partner internazionali. Per riformare la legge elettorale e il bicameralismo, troppo perfetto per permettere governabilità. Per cui non è dato di conoscere quanto durerà il governo. Perché non è possibile sapere quanto tempo richiederà il rispetto di questi impegni. La legge elettorale: nella storia della Repubblica è stata “riformata” solo per via referendaria, nel 1991 e nel 1993. O con un colpo di mano, dal centrodestra, nel 2005. Per impedire a chiunque, dunque all’Ulivo di Prodi, di conquistare una maggioranza vera.
Così è impossibile ipotizzare “quando” si troverà un accordo largamente condiviso su una legge elettorale che non sia il restyling di quella esistente. E se la durata del governo dipende dalla legge elettorale, non è possibile sapere quanto possa durare. Il lavoro dei saggi serve, come quello dell’analoga commissione istituita da Monti, a “prendere tempo”. Tanto le riforme elettorali – tanto più quelle istituzionali – sono e restano una questione politica, più che di saggezza.
Naturalmente un governo serve, all’Italia. Anche se la sua agenda è scritta dalle emergenze. In equilibrio instabile fra consenso interno e vincoli esterni. Fra Iva, Imu e parametri Ue. Difficile, in queste condizioni, immaginare il futuro. Tanto più che il governo si appoggia su forze politiche in sostanziale contrasto fra loro. Berlusconiani e antiberlusconiani. Costretti a coabitare dall’assenza
di maggioranze politiche chiare e stabili. In Parlamento e nella società. Anche su questa “provvisorietà” si fonda il potere di Letta. Il punto di equilibrio di una maggioranza in equilibrio instabile. Che deve mantenere l’equilibrio, un giorno dopo l’altro. Per non precipitare. Insieme al governo di questo “Paese provvisorio” (titolo di un saggio profetico di Edmondo Berselli). D’altronde, quale “domani” propongono i partiti maggiori della maggioranza? Il Pd è in attesa delle “primarie”. Un partito con una leadership provvisoria. In attesa di Renzi. Il quale deve preoccuparsi – e si preoccupa – di questo. Perché essere considerato un leader senza esserlo formalmente, per un periodo in-certo, logora. Il Pdl. Liquidato dal leader maximo e unico. Silvio Berlusconi. Che ha deciso di ri-fondare – un’altra volta – il proprio partito personale. Tanto più e soprattutto dopo l’insuccesso alle elezioni politiche e la disfatta alle amministrative. Berlusconi, d’altronde, è, per definizione, in una situazione provvisoria. Tra un processo e l’altro. Tra un grado di giudizio e l’altro. Come può organizzare il futuro politico, per sé e per gli altri? Il centro, costruito da Monti e da Casini, non c’è più. È durato fino al voto di febbraio. Poi si è liquefatto. E oggi procede diviso. Anche se è difficile dividere quel che non c’è. Per cui, la maggioranza non ha futuro. Solo un presente.
E l’opposizione? Il M5S è l’attimo. Un non-partito istantaneo. Per linguaggio, comunicazione e modello organizzativo. Si riflette nell’immagine e nelle iniziative del leader. Il M5S. È emerso all’improvviso. Ed è cresciuto in fretta. Troppo. Anche rispetto alle attese di Grillo. Così procede incerto. Un autobus senza una mèta precisa. Molti passeggeri e abbonati, che fino a pochi mesi fa erano saliti in massa, ora scendono. Talora “cacciati” dal conducente. Più spesso, alla ricerca di un altro veicolo con cui viaggiare. Verso non-si-sa-dove.
Per queste ragioni, e non solo, neppure il Parlamento ha una durata pre-stabilita. Perché dipende dalla “missione” della maggioranza – provvisoria – che sostiene il governo. È un Parlamento di scopo, come il governo. Non si sa quanto durerà. Lo stesso Giorgio Napolitano è il simbolo della provvisorietà del nostro tempo. Lui: a quasi novant’anni, di nuovo Presidente. Costretto dall’emergenza. Dall’assenza di alternative. Egli stesso ha dettato l’agenda di questo governo – e, dunque, di questo Parlamento – di scopo. Che deve durare il tempo necessario per affrontare le emergenze – economiche e istituzionali. Giorgio Napolitano: l’uomo dell’Emergenza, non della Provvidenza. Un Presidente di scopo. Per senso del dovere. E per necessità.
Così viviamo tempi provvisori. Di passaggio. Verso non si sa dove né cosa. Sicuramente, senza più futuro. Perché il futuro è stato abolito, dal nostro linguaggio e dalla nostra visione. Finite le ideologie, che sono narrazioni di lunga durata. Oggi tutto è marketing. Storie e slogan. Da rinnovare di continuo. Il futuro: se ne sta fuggendo insieme ai giovani. D’altronde, siamo tutti giovani. Adulti e anziani: non invecchiano mai. Nessuno accetta lo scorrere del tempo. Così i giovani, quelli veri, se ne stanno sospesi. Sono una generazione né-né. Né studenti né lavoratori. In Italia sono oltre due milioni (fonte Istat). Quasi un quarto della popolazione tra 15 e 29 anni. Il livello più alto nella Ue. Secondo Eurostat, inoltre, quasi 700 mila giovani italiani, nel 2012, si sono trasferiti all’estero per lavoro. Per non parlare di quelli che ci sono andati per motivi di studio. E chissà quando e se rientreranno. D’altronde 8 italiani su 10 pensano che i giovani, per fare carriera, se ne debbano andare altrove. Comunque, fuori dall’Italia (Demos, gennaio 2013).
È questo il nostro problema più grande, oggi: l’abitudine alla “precarietà”. La rimozione del futuro. Perché il futuro è passato. Emigrato. All’estero. E ci ha lasciati qui. Sempre più vecchi, ma incapaci di ammetterlo. Noi, passeggeri di passaggio in questo Paese spaesato: abbiamo bisogno di Politica. Perché senza Politica è impossibile prevedere. Progettare il nostro futuro. E senza pre-vedere, senza progettare o, almeno, immaginare il futuro, senza un briciolo di utopia: non c’è Politica. Ma solo “politica”. Arte di arrangiarsi. Giorno per giorno.
La Repubblica 24.06.13