Resto sempre e sinceramente affascinato dai temi che propongono ogni anno agli esami di stato. Esami che giornali e televisione si ostinano a chiamare “maturità”, come se non ci fosse stata una legge, più di 15 anni fa (n. 425/’97), che ne cambiava i connotati prevedendo modalità e accertamenti più puntuali e rigorosi (vi si parla per la prima volta nientemeno che di certificazione delle competenze; che decolla però – ovviamente a parole1 – solo più di un decennio dopo). Il cambiamento di pelle del ’97 stava a significare che l’esame non doveva avere alcuna pretesa di verificare e valutare la “maturità”, ma solo la preparazione del candidato, in termini di obiettivi formativi raggiunti a seguito di azioni didattiche effettivamente e intenzionalmente messe in campo dalla scuola. Di queste – nella normativa vigente – si prevede dia conto il Documento di classe che si elabora entro il 15 maggio e che riporta “i contenuti, i metodi e i mezzi, gli spazi e i tempi del percorso formatiuvo, i criteri e gli strumenti di valutazione, gli obiettivi raggiunti, nonche ogni altro elemento che i CdC ritrengano significativo ai fini dello svolgimento degli esami”. La prima prova scritta, come si legge nella normativa di riferimento, “è intesa ad accertare la padronanza della lingua nella quale si svolge l’insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato…” (dm n. 41/2003). Come si vede, una cosa “concreta”, che è tutta dentro il senso e le finalità della nostra scuola e dei suoi percorsi reali Cosa propongono le tracce della prima prova? Proviamo a ripercorrele: con il brano di Claudio Magris (bellissimo, come, d’altra parte, tutti quelli scelti dalla commissione ministeriale), si richiedono spunti di riflessione sul viaggio, le frontiere e il confronto con la diversità; che costituiscono, verosimilmente (come conferma l’”indice di preferenza” delle tracce espresso dai candidato e riportato nel comunicato dal Mnistero) un sfida difficile, ma non impossibile per lo studente “medio”; ma, già con i saggi brevi, il terreno comincia a diventare accidentato, ma soprattutto “incognito”, come si dice: si propongono infatti temi – non solo particolarmente ardui, ma soprattutto estranei ai nostri “normali” percorsi scolastici – come il rapporto tra individuo e società di massa oppure il rapporto tra stato e mercato e democrazia o anche le connessioni tra gli omicidi politici del ‘900. Con la traccia scientifica, poi, si veleggia addirittura sulle prospettive aperte dall’avanzamento degli studi sul cervello. Mentre, con la traccia sui cosiddetti BRICS (sigla che sta ad indicare i paesi in via di sviluppo: Brasile, Russia , India, Cina, Sudafrica…), si approda nientemeno che sui vasti e complicatissimi terreni della geopolitica. Per non parlare di quella scientifico-filosofica, affidata alle parole di Capra, con la quale si plana persino su tematica della vita come manifestazione di cooperazione e creatività anche sul piano strettamente biologico. Che dire di fronte a tanta erudizione e sapienza tematica? Ammirazione sincera, non c’è dubbio. Mi chiedo però cosa c’entrino queste tracce con esami di stato che non vogliono più essere – e da tempo – riti di generica e astratta/indefinita “maturità”. La domanda è: le competenze espressive e logico – critiche possono essere accertate proponendo problematiche, suggestive finché su vuole, ma lontane dai curricoli scolastici dei nostri studenti? E poi: può valere, in questo caso, il riferimento alla nozione di competenza come capacità di trasferire ad altri campi abilità e attitudini maturati attraverso le discipline di insegnamento? Quale “maturità” dello studente si intende saggiare? Detta in termini un po’ provocatori – ma non tanto – si ha l’impressione che, con scelte contenutistiche come quelle proposte, si voglia far finta di ignorare che le tematiche della prova – che pure dovrebbero entrare con esplicita e forte intenzionalità nell’esperienza scolastica dello studente, lasciando segni certificabili – hanno a che fare, solo molto accidentalmente e raramente, con gli effettivi “programmi” scolastici (perché, in effetti, siamo ancora lì); che percorsi di educazione alla riflessività, al pensiero rigorosamente critico, al pensiero trasversale e alla conoscenza di sé e del mondo che ci circonda (in altri termini, gli ingredienti di una idea moderna di cittadinanza, che pure ritroviamo nelle Raccomandazioni dell’Unione Europea e anche nella nostra più recente legislazione scolastica), che si danno per scontati in queste tracce, sono invece ben lontani da una pratica didattica diffusa, “normale” per le nostre scuole. Con queste tematiche si potrebbe fare, al limite, bella figura con un cittadino finlandese che capitasse in Italia in questo periodo e che, letti i testi della prova, sarebbe indotto ad esprimere ammirazione per il nostro sistema di istruzione, ignorando quello che effettivamente si insegna nelle nostre scuole. Ma niente di più di queste attestazioni ipotetiche. Perché allora ci si ostina in una prova siffatta? Squilibrata rispetto alla prassi comune e squilibrante per il povero candidato? Stiamo pagando ancora pegno, con riti di questo tipo, ad una cultura gentiliana che ha fatto il suo tempo? Mah. Comunque penso che bisognerebbe cominciare ad uscirne, come da più parti si auspica da diversi anni ormai. Come? Occorrerebe, probabilmente, in primo luogo, sviluppare consapevolezza diffusa, partendo da considerazioni critiche sulle tracce degli ultimi anni, che uno: chiedere agli studenti (non a quelli “fuori norma”, che sono bravi di loro o per grazia ricevuta) arrampicature sui vetri o esercizi di scrittura pseudo-creativa o finto-riflessiva, non è il massimo per una istituzione che vuole essere coerente e trasparente nelle sue finalità educative; due: prendere coscienza – come sistema – delle proprie criticità (e questo tipo di prova lo è certamente), attraverso il confronto tra risultati effettivi e risultati attesi, è condizione essenziale per la ricerca di altre vie più efficaci e credibili di accertamento e certificazione. Questo sulla prima prova. Ma discorsi altrettanto critici andrebbero fatti sulle altre prove scritte e orali. La neo-ministra, parlando della necessità di rivedere articolazione e senso degli ultimi due anni del secondo ciclo – e quindi della finalità degli esami in un’ottica orientativa -, sembra se ne sia accorta. Proviamo a sperarci. 1 I diplomi allegati al dm 26/2009 sono rilasciati ai candidati che hanno superato l’esame non contengono nessuna certificazione delle competenze ma solo il punteggio complessivo delle perove d’esame e i crediti acquisiti. Si prevedono, in calce al punteggio, eventuali “uleteriori specificazioni valutative della commissione con riferimento anche a prove sostenute con esito particolarmente positivo
da ScuolaOggi 21.06.13