La macchina del fango, che per Berlusconi è un armamentario di giornali e tv, per Grillo è il web, ma il metodo dell’epurazione è lo stesso. La macchina del fango, che per Berlusconi è un armamentario di giornali e televisioni, per Grillo è il web, il post, la rete, ma il metodo dell’epurazione è lo stesso e infatti la Gambaro è “tossica” come Biagi e Santoro erano “criminosi”. Così il web diventa una parodia del tribunale del popolo, anche se lo spettacolo è più simile alla lapidazione che all’arbitrio dei giudici: «Chi è senza peccato scagli il primo post».
Contro l’epurata, come sempre, si esercitano i solerti esecutori. I Crimi, i Morra, i Lombardi, i Colletti, gli Incerti, i Nesci sono gli epigoni grotteschi dei cekisti di Beria e delle guardie rosse di Mao, stanano gli epurandi, premiano la delazione, si eccitano nell’accusa, digrignano i denti come i capi-plebe del Sinedrio, sono gli impunti all’ombra del capo che nel dissidente intravede la propria fine e dunque lo ridicolizza o, addirittura, prova a dargli del ladro che ruba sui rendiconti, così come i sovietici e i fascisti provavano a dargli del matto.
Certo, nell’Italia di oggi l’epurazione è uno sfratto e Grillo più che lo Stalin delle purghe conosce l’Orietta Berti di «e qui comando io / e questa è casa mia». Nel suo codice, che è quello del teatro di varietà, chi non applaude disturba, sovverte l’ordine di sala: «si accomodi fuori». Ma se l’Italia è cambiata, le parole sono le stesse: epurare, purificare, depurare e dunque trasformare il dissentire, “non sentire” allo stesso modo, nel dissidére, “sedersi a parte”: via, sciò, dalli all’untore. E però l’epurato non è più l’eretico che anticipa la storia, come Sacharov per Breznev e come
Il manifesto di Pintor e Parlato che portò via dal Pci la fiammella della sinistra illuminista. Oggi è un licenziato, buttato fuori da un padrone più che da un tiranno o da un partito o da una setta. Non rinnegato come Kautsky, ma disoccupato come Fini; non impazzito come il Koestler nel buio a mezzogiorno ma esodato come Bocchino sul quale (ricordate?) si rovesciarono le battute grevi sul cognome che oggi è la cifra stilistica del grillismo e del giornalismo della vecchia destra da casino e da forca che Grillo ispira.
Non c’è nessun motivo che giustifichi l’epurazione, ordigno di guerra pesante, «chi non è con me è contro di me», la sostituzione dell’intelligenza con la scimitarra o «con il calcio nel culo» diceva Bossi quando, prima di essere epurato, epurava mostrando il dito medio a Giafranco Miglio inviato come una «scorreggia nello spazio», e poi a Formentini, a Pagliarini, all’intera Liga Veneta… Eppure, quello stesso Bossi, ora sotto epurazione, dice: «Bisogna esser forti per non epurare». Scopre, finalmente e sulla sua pelle, la saggezza: «Quelli che la pensano come noi sono quelli che non la pensano come noi» scriveva Sciascia. E Lyndon Johnson, più sboccato: «Meglio averli dentro la tenda che pisciano fuori, piuttosto di averli fuori che pisciano dentro». Borges arrivava alla dissidenza da se stesso: «Mi sono iscritto al partito conservatore. Ma una volta affiliato al conservatorismo, il trionfo radicale mi ha fatto piacere».
E però quella di Bossi non è una storia di (im)purezza ideologica ma di finte lauree e di signorine in cerca di ribalta, di soldi pubblici finiti in comodato, di diamanti e appartamenti. Nel leninismo, che pure praticava il furto e l’esproprio proletario, il cerchio magico come crapula di famiglia non era previsto. E la Chiesa non epurava e non bruciava i ladri, ma gli eretici. Perfino nella mafia, dove l’epurazione è annientamento fisico anche dei figli e dei nipoti, i ladri vengono abbandonati e non epurati.
Bossi sa bene che le epurazioni della Lega sono sempre state ingiunzioni padronali, sgomberi. Ecco perché cacciandolo, la Lega caccia il padrone e si spegne: è la signora messa alla porta dalle serve. Non ci sarà mai un Kruscev del dito medio e neppure un Gorbaciov dell’ampolla padana, nessuno storico racconterà il celodurismo diviso, come la filosofia di Hegel, in una corrente di destra e una di sinistra che si epurano a vicenda perché, come diceva Nenni, «c’è sempre un puro, più puro di te, che ti epura».
In una normale democrazia il dissidente è l’avversario che rafforza anche il capo perché lo affronta con la dialettica, libro contro libro, intelligenza contro intelligenza. La scorciatoia dell’epurazione che rimanda alla purezza religiosa e quindi all’inquisizione oggi è anche ridicola perché non ci sono più le fornaci delle ideologie, delle chiese politiche, e forse non ci sono neppure gli ideali …
In Italia poi anche l’epurazione di guerra è stata «una burletta» scrisse Alessandro Galante Garrone: «Si sarebbe dovuto procedere dall’alto. Invece ci si accanì contro gli applicati d’ordine e gli uscieri, o magari il capofabbricato che aveva indossato la divisa per vanità».
Gli storici ancora si dividono sull’amnistia di Togliatti che liberò i fascisti, sulla resistenza che divenne desistenza, sullo Stato fascista che si mutò in democristiano, sull’epurazione del signor Piscitello (pesce piccolo appunto) raccontata da Vitaliano Brancati. Avventizio al Comune, fu convocato dal podestà fascista che doveva epurarlo dall’ufficio perché non iscritto al partito. Per iniziativa della moglie, che non lo voleva più avventizio («avventizio, sei solo un avventizio», gli gridava attraverso la porta del bagno), Piscitello si fabbricò allora un’identità fascista, addirittura di marciatore su Roma. Poi, finita la guerra, il podestà, post fascista senza essere stato antifascista, di nuovo doveva epurarlo perché Piscitello addirittura aveva marciato su Roma. E Piscitello inutilmente presentò un certificato medico dal quale risultava che già a quei tempi aveva il morbo di Parkinson e che dunque mai avrebbe potuto marciare, ma solo marcire.
Come si vede, l’epurazione all’italiana era già stata commedia e infatti al cinema la portarono sia Paolo Stoppa sia Alberto Sordi. Del resto, è stato commedia sbracata anche Storace che, presidente della commissione di Vigilanza della Rai negli anni bui del Berlusconi padrone di tutto, si compiaceva del soprannome di Epurator poi esteso anche alla figlia che, ignara e innocente, divenne Epurina. Ebbene, alla storia dell’epurazione all’italiana, che è ferocia senza grandezza, Grillo non porta nulla di leggero e di pulito, ma solo il ghigno truce di chi non sa ridere di sé e festeggia il neopresidente della vigilanza Rai Roberto Fico, infilandogli in tasca un pizzino con i nomi dei giornalisti da epurare, ovviamente approvati dal web-sinedrio. Primo: Floris. Secondo:…
La Repubblica 20.06.13