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Politicamente corretto… Note a margine delle dichiarazioni programmatiche del Ministro M.C.Carrozza alle Camere", di Giancarlo Cerini

Come non condividere le nobili dichiarazioni di principio rese dal neo ministro Maria Chiara Carrozza il 6 giugno 2013 di fronte alle Commissioni riunite di Camera e Senato: maggiori attenzioni e investimenti nell’istruzione per promuovere la “ricchezza” della nazione e delle persone, per uguali opportunità per tutti, per una scuola palestra di legalità, ecc. Come non essere d’accordo sulla vision che mette al centro del programma d’intenti i principi della credibilità, della trasparenza, della coesione sociale: quasi un mix di efficienza e di solidarietà, compatibile con la stagione delle “larghe intese”. Magari l’incipit è troppo connotato dal lessico degli economisti (allocare le risorse, accountability, budget, valutazione ex-post, stakeholder, benchmarking…), ma di necessità occorre fare virtù: un po’ siamo già abituati al linguaggio e oggi per convincere i “signori del Tesoro” (in Europa e in Italia) a sfondare i confini blindati della spesa pubblica bisogna essere molto credibili e dimostrare conti alla mano che ciò che si spende in istruzione ritorna – con interessi aggiunti – per lo sviluppo del paese.

Ma scavando sotto lo strato del politicamente corretto (confermato dalla richiesta di un approccio bipartisan alle riforme possibili: è necessario che i partiti parlino la stessa lingua verso la scuola) quali sono le priorità di iniziativa politica per la scuola che si intravvedono nelle dichiarazioni programmatiche del Ministro Carrozza?

Una scuola “Cenerentola”?

L’Europa è lì ad inchiodarci con i suoi obiettivi riferiti a Lisbona 2020, ove esibiamo ritardi clamorosi in tutti e sette gli indicatori (in particolare per il tasso di dispersione: dal 18% di insuccesso a 18 anni dovremmo scendere sotto il 10%; ma anche per la qualità delle competenze: dal 21% di criticità in lettura a 15 anni dovremmo scendere al 15%, per non parlare della matematica). Purtuttavia, alla scuola vengono richiesti compiti sempre più impegnativi: non è solo questione di un decimale in più nei punti Pisa o Invalsi, perché gli insegnanti si trovano di fronte ragazzi e famiglie disorientate da nuovi stili di vita, precarietà delle situazioni sociali, intreccio di storie, pervasività della comunicazione e con adulti che sembrano aver perso la capacità di aiutare i giovani a “venire al mondo” (e poi a “stare al mondo”) come ricorda la premessa delle Indicazioni/2012 per il curricolo della scuola di base, firmata da Profumo-Rossi Doria, non a caso ampiamente citata nelle dichiarazioni del nuovo Ministro.

Però…però…dopo queste aperture di credito verso gli insegnanti, si riparte … dall’edilizia scolastica. Vediamo di capire il perché. E’ pur vero che una buona struttura fa educazione (come non meravigliarsi di fronte alle buone soluzioni architettoniche adottate in alcune realtà di eccellenza del nostro paese). Prendersi cura degli spazi è dunque prendersi cura dell’educazione. Una scuola sicura, pulita, smart, tecnologicamente adeguata, esteticamente bella, si fa abitare e vivere meglio dagli allievi e dagli insegnanti. Scatta più facilmente il buon apprendimento, soprattutto se le classi diventano “ambienti di apprendimento”, luoghi per esperienze collaborative, creative, motivanti.(1).

Ma di fronte a questa consapevolezza sta il lungo cahier de doleance di una legislazione farraginosa in materia di edilizia scolastica (nei suoi passaggi statali, regionali, provinciali, comunali), nella scarsità delle risorse (a fronte nei nostri 42.000 edifici da riqualificare o rinnovare), delle procedure tecniche e contabili al contagocce… Qui c’è da fare uno sforzo straordinario, come ammette il Ministro, anche bussando alle istituzioni europee…

Intanto emerge l’idea di “controllare” meglio una governance multilivello: la decentralizzazione del sistema educativo non può mettere a rischio l’unitarietà del progetto culturale della nostra scuola. C’è una evoluzione costituzionale incerta, molte realtà territoriali procedono da sé, rischia di venire meno la garanzia dei “livelli essenziali delle prestazioni” decisiva per un diritto fondamentale come è l’istruzione. Ci sono troppe differenze tra le regioni, sembra ricordare il Ministro, e lo stesso “dimensionamento” sta assumendo direzioni troppo asimmetriche, anche se vanno rispettate le sentenze della Corte Costituzionale(2).

Riparliamo degli insegnanti…

Prendere sul serio l’autonomia delle scuole appare indicazione doverosa, ma già all’orizzonte incombono le proposte “hard” dei liberisti della Bocconi (Tabellini e Ichino ne hanno parlato in un recente phamplet per i corsivi del Corriere della Sera)(3). Il ministro sceglie la via dell’equilibrio e riparte con l’organico funzionale di istituto. E’ vero, se ne parla da ormai vent’anni -dalle prime sperimentazioni della stagione dell’autonomia negli anni ’90- ma con scarso successo. C’è anche una recente legge (la n. 35 del 2012) che rilancia l’organico di istituto e quello di rete, ma un anno fa i “guardiani dei conti pubblici” dissero NO alla quantificazione dei posti-docente IN PIU’ per poterlo realizzare.

Intanto, però, si ragiona sull’organico di sostegno, cui vengono dedicate parecchie pagine nella relazione del ministro. Doveroso, ma rischioso: quando si parla di handicap, il Parlamento “piange” come un agnellino -mi disse qualche anno fa una saggia e autorevole sottosegretaria – ma poi le scelte politiche diventano difficili e quasi impossibili. E’ doveroso stabilizzare il sostegno, ma anche qui occorrerebbe aprire un tavolo “vero” sul sostegno per tenere insieme: posti di sostegno (ormai 101.000 unità), mansioni necessarie (didattiche, ma anche sociali, riabilitative, assistenziali), gli orari del personale, le sinergie tra enti, le tipologie di disabilità (ormai spappolate tra handicap, DSA, ADHD, BES, ecc.). Terreno nobile di impegno, ma del tutto impopolare, come dimostra il silenzio attorno alla proposta intelligente della Fondazione Agnelli, sottoscritta pure da Caritas e Centro Erikcson).(4) Comunque se ne riparla ed è già importante farlo.

Ma è sull’intera platea degli insegnanti che si giocherà la partita vera. Sul loro numero, certamente, ma anche sulla loro qualificazione. Il fatto è che quella dell’organico funzionale rischia di diventare una sterile guerra di posizione, se non si riparte da un “tavolo” vero sul lavoro insegnante (che tenga insieme: il numero dei docenti, il loro orario di lavoro, l’abolizione delle supplenze così come sono oggi, la stabilizzazione del personale precario). Una mossa non facile, ma indispensabile, in cui governo, sindacati e insegnanti dovrebbero fare passi indietro (che sono poi passi in avanti), per riscoprire le reciproche convenienze di un accordo di solidarietà (stabilizzazione sul posto in cambio di impegno maggiore…).

Fa capolino il merito

Qui il ministro percepisce certamente la scivolosità del terreno ed evoca un “patto per la scuola” con i sindacati (per sottoscrivere alleanze decisive, come qualche volta si sono realizzate nelle relazioni sindacali nel nostro Paese). Un richiamo al possibile riassorbimento del precariato (44.000 posti nel triennio 2014-17) è controbilanciato dal riconoscimento che per il prossimo settembre 2013 le nomine saranno assai poche. E il turn-over non è tutto…

Sottovoce si parla di carriera, di svincolo dall’anzianità, di valutazione del lavoro docente. Si evocano riconoscimenti per le figure di sistema (le “posizioni organizzative”), per chi fa funzionare la scuola, per chi si impegna in imprese innovative. L’ipotesi più concreta riguarda nuove modalità di reclutamento dei dirigenti scolastici, con un riconoscimento specifico dei ruoli di staff. Si cita anche il nuovo Regolamento sul sistema di valutazione, ma in termini guardinghi, quasi per saggiarne la consistenza (il Ministro chiede una cultura della valutazione che non si limiti a misurare le performance, ma a mettere a disposizione informazioni per migliorare il sistema educativo). Ma – date queste premesse condivisibili – le soluzioni possibili sono molte e bisogna prendere decisioni urgenti.(5)

Giustamente il Ministro ricorda che per ogni riforma che si rispetti è necessario dedicare risorse e impegni alla formazione dei docenti. Un primo banco di prova è rappresentato dalle Indicazioni/2012 per la scuola di base, fresche di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, perché senza un significativo piano di accompagnamento rischierebbero di rimanere lettera morta come è successo per le tante innovazioni di questi anni.

Politiche per l’inclusione

Ma l’Europa ci incalza sulla qualità dei risultati; la dispersione ed i livelli di apprendimento sono allarmanti. E’ necessario ripartire dalla scuola dell’infanzia (ivi comprese le sezioni primavera, da potenziare), dall’estensione del tempo scuola, da un rapporto più innovativo tra la scuola e le altre agenzie educative e sociali del territorio (metodologia per cui i fondi europei sembrano più a portata di mano). Esiste già un percorso avviato nelle regioni del sud dal tandem Barca-Rossi Doria: ci si aspetta di vederne i primi frutti. Magari confrontando le metodologie: c’è che preferisce intervenire sulle condizioni “sociali” della qualità della vita dei nostri ragazzi (la coesione sociale e l’inclusione), c’è invece che spinge sulla didattica “breve” per migliorare i risultati nelle prove Ocse-Pisa.

Doveroso il passaggio sul potenziamento dell’istruzione e formazione professionale, ma con aperture assai soffici rispetto a più ruvidi richiami alla realtà provenienti da alcune parti sociali del Paese. Appare intollerabile il doppio gap italiano della più alta percentuale di giovani disoccupati (addirittura NEET: not in employement education training)(6), ma anche della carenza di determinati profili professionali (di basso livello formativo, si dirà…), a testimonianza di una sfasatura immensa tra percorsi formativi e uscite nel mondo del lavoro. Qui occorre riaprire a tutto campo la discussione, fino a lambire la scomoda prospettiva duale del sistema tedesco (dove una filiera formativa punta decisamente all’apprendistato e al rapporto diretto con il mercato del lavoro) o il ripensamento dell’intero percorso scolastico italiano, per mettere i nostri ragazzi 19enni a contatto diretto con il loro futuro possibile (all’Università, nella formazione di alto livello, verso l’Europa, negli stage). Ma per un programma del genere occorrono effettive “larghe intese” oltre che un pubblico confronto sulle scelte più utili.

Per ora siamo alle prime pagine di una possibile Agenda di politiche per la scuola. C’è un indice abbozzato di questioni aperte. Spesso sono nodi irrisolti da decenni. Ma vale la pena crederci ancora. Soprattutto per chi si cimenta con entusiasmo nel voler intravvedere un futuro positivo per la scuola, senza farsi troppo condizionare dagli insuccessi del passato(7).

1 N.D’Andrea, L’importanza degli spazi nell’ambiente di apprendimento e M.Orsi, La penna, il quaderno, la LIM e la lavagna, in “Rivista dell’istruzione”, n. 3, maggio-giugno 2013, Maggioli, Rimini.

2 Il privato in istruzione c’è, ha assunto dopo la legge Berlinguer (la legge 62/2000) le sembianze di un sistema

paritario, che va in un qualche modo riconosciuto dal “pubblico”. E non è corretto affermare che la scuola pubblica viene impoverita per finanziare la scuola privata. Ma cosa pretendete? Sembra incalzare nel suo report il Ministro: con l’1,2 % dei contributi di Bilancio (circa 500 ml) si dà una mano ad un sistema paritario che scolarizza circa il 12 % degli utenti. Pragmaticamente laico…

3 A.Ichino, Liberiamo la scuola, ebook Corsivi del Corriere della Sera. Forum idee per la crescita.

4 Fondazione Agnelli (Caritas e Treellle), Gli alunni con disabilità nella scuola italiana. Bilancio e proposte, Erickson, Trento, 2011.

5 G.Cerini, Riappropriamoci della cultura della valutazione, nel Dossier predisposto da Cisl Scuola in occasione del Congresso nazionale di Firenze (giugno 2013). Una analisi complessiva dell’evoluzione del sistema nazionale di valutazione è contenuta nel numero monografico 1/2013 di Voci della Scuola: G.Cerini-M.Spinosi (a cura di), Cultura e strumenti della valutazione, Tecnodid, Napoli, 2013.

6 F.Farinelli, I NEET: chi sono e cosa (non) fanno?, in “Rivista dell’istruzione”, n. 3, maggio-giugno 2012, Maggioli, Rimini.

7 M.G.Dutto, Acqua alle funi. Per una ripartenza della scuola italiana, Vita e Pensiero, Milano, 2013. Propone un approccio non rituale al cambiamento della scuola italiana, basato sul protagonismo concreto, il coraggio dell’azione e l’iniziativa professionale di tutti i soggetti chiamati a occuparsi della scuola. Con un occhio meno provinciale a ciò che accade all’estero ma anche con l’orgoglio delle eccellenze italiane.

da Scuolaoggi.org

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