Quasi scontato ricordare quale sarà il primo punto all’ordine del giorno, al vertice di oggi a Roma, tra i Ministri del lavoro e dell’Economia di Spagna, Francia, Germania e dell’Italia: come combattere efficacemente e subito la disoccupazione giovanile, che ha assunto numeri e aspetti drammatici, al limite della tenuta sociale, soprattutto in alcune aree a ritardo di sviluppo, come il Mezzogiorno. Se ne parla da mesi, in Italia, così come in Europa. Ce lo ricordano e lo documentano ormai quotidianamente tutti i rapporti di tutti gli studi degli istituti di ricerca economica. Alle tante e giuste parole, alle numerose e corrette analisi formulate fino ad ora, è arrivato il momento di far seguire finalmente atti e misure concrete. Non si può più aspettare. È una responsabilità questa che spetta in primo luogo alle forze parlamentari di maggioranza e soprattutto al Governo, che pure, anche in queste ore, ha lanciato segnali positivi, nella direzione giusta, a partire dall’utilizzo dei fondi europei. Sono, tuttavia, quelli che vengono da Palazzo Chigi, segnali ancora troppo timidi rispetto alla enormità del problema che abbiamo di fronte e all’urgenza di affrontarlo.
Occorre mettere in campo, e subito, misure choc. L’obiettivo prioritario, non più rinviabile, dev’essere quel- lo di dare un’opportunità concreta di lavoro, entro il 2015, ad almeno 250mila giovani tra i 18 e i 32 anni residenti in quelle aree del Paese (regioni o sub-regioni) dove il tasso medio di disoccupazione supera il 25 per cento. Ognuno di questi giovani deve poter portare all’impresa, oltre alle proprie capacità e al proprio bagaglio di formazione, anche una dotazione di 600 euro messagli a disposizione dallo Stato. Per fare presto e fare bene, bisogna utilizzare e potenziare, attraverso una corposa dotazione finanziaria di risorse disponibili e fuori vincoli del Patto di Stabilità, quegli strumenti già operativi al fine di evitare lungaggini burocratiche ed estenuanti trattative. Non occorre, insomma, inventare nulla di nuovo, ma semplicemente rendere più conveniente quello che già c’è. Dobbiamo far diventare il contratto a tempo determinato, nelle forme in cui già esiste, un contratto «Incentivato» triennale che dia diritti veri ai giovani e favorisca la crescita facendo aumentare la domanda interna. La dotazione finanziaria, pari a circa 4 miliardi di euro (2,5 miliardi di fondi europei, 1,5 miliardi dai cofinanziamenti nazionali), verrebbe dalla enorme massa di risorse europee non utilizzate dalle Regioni del Sud, in particolare, come ha ricordato l’altro ieri anche il ministro Trigilia, dalla Campania, dalla Calabria e dalla Sicilia. Queste risorse sarebbero subito disponibili grazie alla terza riprogrammazione del Piano Azione Coesione che le ha svincolate dai piani regionali. Per mettere tutto a sistema occorrerebbe l’approvazione – anche questa possibile in tempi rapidi – di una legge delega così da dare al governo la massima operatività per approvare attraverso successivi decreti attuativi la serie di interventi che darebbero vita al contratto «Incentivato». Si potrebbero così attuare misure per tagliare all’impresa il costo del lavoro su ogni nuovo assunto di 300 euro al mese attraverso il taglio del cuneo fiscale e il credito d’imposta e per assegnare direttamente ad ogni nuovo assunto una misura (tipo borsa lavoro) di sostegno per ulteriori 300 euro. Si eviterebbe così, attraverso lo spacchettamento degli interventi, di incappare nei vincoli degli aiuti di stato. Va, poi, istituito d’intesa con la Cassa Depositi e Prestiti, rimodulando la massa enorme risorse bloccate, un fondo di garanzia per le imprese necessario a fare investimenti di lunga durata per l’innovazione (cam- bio macchinari, internazionalizzazione ecc.) e il consolidamento delle passività a breve in modo da garantire ai soggetti imprenditoriali liquidità e competitività sui mercati. Solo aumentando la domanda si creano opportunità vere di lavoro. Infine, con i primi risparmi ottenuti dalla riforma previdenziale, si bandisca una selezione pubblica con l’alta sorveglianza della Commissione Europea, sottratta a qualsiasi tipo di clientelismo e di intermediazione locale, politica e sindacale, che consenta a 2000 giovani con profili di altissimo livello e con la conoscenza di almeno tre lingue, di fare prima un tirocinio di 6-12 mesi nelle migliori pubbliche amministrazioni europee e poi di rientrare a lavorare in Italia per cambiare il volto della Pubblica Amministrazione, nelle Regioni, negli enti locali e in tutto il settore pubblico. È questa l’unica e vera spending review che serve all’Italia, da Nord a Sud. Una pubblica amministrazione rinnovata, più giovane, più al passo con le sfide che richiede l’Europa è un incentivo fondamentale alla crescita e all’economia.
Il percorso disegnato può partire in poche settimane.
Potrebbe andare a regime già entro la fine dell’estate. Occorre solo la volontà politica di farlo. Per questo non c’è un attimo da perdere. Il Pd faccia sue queste proposte, o se ne ha di alternative e valide le metta sul tavolo per fare battaglia politica a partire dal Mezzogiorno. Si mettano da parte, nel dibattito quotidiano, stucchevoli discussioni su tatticismi congressuali o su percorsi legati a progetti di riforme costituzionali, che, per quanto importanti, in que- sto momento sono lontanissimi dal grido di dolore che viene dai giovani e dai disoccupati del nostro Paese.
L’Unità 14.06.13