In questi 29 anni dalla sua morte improvvisa, di Enrico Berlinguer molto si è scritto e molto si è discusso. Proprio il tempo trascorso e la permanente attualità di tanti temi, da lui proposti alla guida del Partito comunista italiano, danno il profilo e la misura esatti del ruolo che ha avuto nella storia e nella vicende non solo nazionali. Fu insieme uomo della transizione verso l’Eurocomunismo, della piena democratizzazione della politica italiana e assertore dell’emancipazione e delle lotte dei Paesi del Terzo mondo.
Fu il teorico del compromesso storico, dopo la tragedia cilena, l’autore del dialogo col vescovo di Ivrea, Luigi Bettazzi, su una società aperta ai valori cristiani, e l’uomo che preparò il governo di unità nazionale nel 1978. Fu il sistematore di una idea di austerità alta, nei consumi e negli stili di vita, di un nuovo modello di sviluppo rispettoso dell’ambiente e del territorio. A lui si deve il merito di avere sollevato il tema della questione morale e di avere intuito come una progressiva degenerazione dei comportamenti della politica avrebbero potuto infliggere un colpo pesantissimo alla credibilità delle istituzioni e della stessa rappresentanza.
Sul piano sociale sostenne di persona la battaglia dei lavoratori contro la Fiat, e condivise la posizione di non accettare il taglio dei punti di scala mobile; mentre fu fermissimo nella lotta contro l’inflazione, e a favore di una politica dei sacrifici in nome del lavoro e della occupazione. Come è evidente ognuno di questi temi, non solo ha segnato fortemente il confronto politico di quegli anni, in particolare tra il 1973 e il 1984, ma ha continuato a determinare un’influenza indiscutibile anche dopo, in qualche modo fino ad oggi. Per esempio, sono stati in molti a scrivere di quel che unisce e di quel che divide questo momento politico da quello del 1978. Se ci si chiede perché così esteso e profondo sia tuttora il senso della sua guida politica, anche aldilà di errori che furono commessi, la risposta va cercata nel fatto che molte di quelle ispirazioni rispondevano a domande e sensibilità profonde, largamente presenti nel Paese, e che se non affrontate adeguatamente si trascinano fino ad oggi con il loro carico di rinnovamento e di tensione civile.
Vale per l’economia, per la condizione dei giovani e del lavoro, per il distacco tra cittadini e istituzioni. Vale soprattutto per la democrazia. Berlinguer ebbe una duplice capacità: quella dell’innovazione e quella della conservazione e trasmissione di valori permanenti, quali la giustizia sociale, la pace, il rifiuto della violenza. In questo, anche se da posizioni politiche a volte diverse, fu molto simile a un altro grande protagonista di quella stagione, Luciano Lama. Nella lotta contro il terrorismo, contro la strategia della tensione, ma anche nel senso di responsabilità mostrati di fronte alla piaga dell’inflazione, ognuno dei due, pur partendo da ruoli e piani diversi, si mosse nella stessa direzione.
Non si può però ricordare tutto questo rimuovendo la grande stima e il grande affetto che circondò Berlinguer. Era un capo amatissimo, dal grande seguito popolare, ad onta di un carattere schivo e riservato, e stimato da avversari e interlocutori di ogni appartenenza. Il modo con cui morì, a Padova dopo le sofferenze di quel comizio, stampato nella memoria degli italiani, lo consacrò come una delle poche icone laiche della politica nazionale. Il giorno in cui si sentì male, Sandro Pertini si trovava per un caso della sorte che davvero colpisce nella stessa città e fu tra i primi a correre all’ospedale. Nel riportarlo a Roma lo salutò come un figlio, un amico e un compagno. E anche in questo il vecchio combattente della libertà finì con il rappresentare l’emozione di tutto il Paese.
L’Unità 09.06.13