Le parole-chiave sono «accelerazione e riprogrammazione». Il linguaggio è complicato e le procedure note solo a pochi iniziati, in serrato dialogo tra Roma e Bruxelles dove ai dossier presiede il commissario alle Politiche regionali, Johannes Hahn. Ma stavolta sulla partita dei «fondi strutturali europei» c’è uno spiraglio di concretezza: l’obiettivo è quello di destinare buona parte delle risorse assegnate all’Italia per mettere in piedi un piano-occupazione di 4,5 miliardi in tre anni, di cui 1,5 fin dal 2013. La partita sarà giocata dal presidente del Consiglio Enrico Letta in prima battuta nel vertice dei ministri Lavoro ed economia convocato a Roma la prossima settimana, il 14 giugno e, un mese dopo, il 15 luglio, in occasione del Consiglio europeo. Il target è preciso: convincere l’Europa a cambiare la «destinazione d’uso» di molti nostri progetti e indirizzarli tutti a favore dell’occupazione.
Sul tavolo ci sono i celebri fondi strutturali europei, venduti e rivenduti dai governi che si sono succeduti, ma da sempre incagliati nella incapacità delle Regioni di fare progetti e di spendere effettivamente risorse sulla carta a portata di mano. I fondi che provengono dal bilancio europeo e che per essere spesi devono essere integrati (ovvero cofinanziati) da una pari somma stanziata dall’Italia, sono spesso destinati alla realizzazione di una miriade di opere, frammentate, poco efficaci e senza un disegno comune: basti pensare che tra il 2007 e il 2013 sono stati allestiti, almeno sulla carta ben 600 mila progetti. Tuttavia di soldi veri e di opere realizzate ce ne sono state poche: il 31 maggio scorso c’è stata una prima verifica dei target di spesa presso il ministero della Coesione territoriale e ci si è accorti che stentiamo a raggiungere quota 40 per cento. Inoltre i progetti spesso sono spesso bizzarri: aiuole, piccoli monumenti, corsi di formazione per barbieri, iniziative turistiche sporadiche, sagre, feste di piazza.
Ora si cambia: il presidente del Consiglio Enrico Letta sembra intenzionato a chiedere al prossimo Consiglio Europeo del 15 luglio una accelerazione e riprogrammazione dei 30,2 miliardi a disposizione dell’Italia fino al 31 dicembre del 2015, già cofinanziati nel bilancio dello Stato, ma sostanzialmente bloccati per carenza di decisione politica e immobilismo. Si tratta di circa 10,5 miliardi entro fine anno e di altri dieci per ciascuno dei due anni successivi. Obiettivo: spazzare via i microprogetti e puntare tutto il fuoco sull’emergenzalavoro. Si tratta di riprogrammare, cioè
di cambiare destinazione ai fondi, una operazione che potrà essere fatta solo con il via libera della Ue che ci dovrà consentire di cambiare la natura dei progetti già approvati nell’ambito dei due fondi europei-chiave: il Fondo sociale europeo e il Fondo di sviluppo regionale. Si tenterà di dirottare verso l’emergenza- occupazione almeno il 15 per cento di queste risorse, in pratica 4,5 miliardi in più per il lavoro. Non è poco, se si pensa infatti che introdurre la decontribuzione di 10 mila euro per chi assume un giovane disoccupato, comporterebbe l’impiego di 1 miliardo di fondi europei, e potrebbe attivare circa 100 mila posti di lavoro.
I margini operativi ci sono. Le caratteristiche dei progetti di cui Bruxelles accetta il finanziamento sono efficaci in termini di occupazione: si possono finanziare le decontribuzioni per assunzioni; la riforma dei centri per l’impiego; la formazione dei giovani artigiani (in aziende sopra i 9 dipendenti che per ora non hanno risorse); lo start up delle imprese innovative; le ore di formazione per gli apprendisti; stage e tirocini; incentivi alle imprese per le innovazioni di prodotto. Il tutto senza appesantire il deficit, problema sempre in agguato.
La Repubblica 07.06.13