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"Il costo dei respingimenti", di Rachele Gonnelli

La strategia della «tolleranza zero» è costata, dal 2005 al 2012, un miliardo e 600 milioni. Per rimpatriare gli immigrati si è speso soprattutto in voli, scorte, costo dei Cie. Una politica disumana e dispendiosa. È il rapporto «Lunaria» sugli arrivi irregolari in Italia.

Andava e veniva, Rasek. Quando lo ingaggiavano al pianobar, prendeva il battello da Tunisi, faceva una serata, una settimana, una stagione a Palermo, poi tornava, se invece non c’era lavoro restava a casa. Funzionava così tra Italia e Tunisia nei primi anni Settanta. Costi per lo Stato italiano, zero. È stato solo dopo, molto dopo, che Rasek ha dovuto operare una scelta per non finire bollato come «clandestino». Ha scelto di trapiantarsi armi e bagagli in Sicilia, abbandonando moglie e figlie, portandosi dietro solo il figlio maggiore. Un grande dolore. Il mare non è più un ponte, la via di casa, ma un fossato medievale, militarizzato.
Non ci sono storie personali come questa nel rapporto «Costi disumani», sottotitolo «la spesa pubblica per il contrasto dell’immigrazione irregolare», presentato dall’associazione Lunaria in una sala della Camera dei Deputati. Nel dossier ci sono solo numeri, inediti. O meglio, analisi delle voci di spesa della politica basata sui respingimenti. Si scopre così che gran parte dei fondi utilizzati per i Cie servono per l’allestimento degli stessi, cioè l’acquisto o l’affitto, la manutenzione, le mobilia, rispetto alle spese per i servizi e il sostentamento degli immigrati. Questi centri di detenzione, nati per identificare e rimpatriare le persone senza permesso di soggiorno sono divenuti piccole prigioni dove attualmente, dopo Maroni, si può essere reclusi fino a 18 mesi senza aver commesso alcun crimine e senza altra possibilità di difesa che davanti a un giudice di pace, non togato e non specializzato in materia di diritto d’asilo. Mentre si risparmia sul vitto nei Cie e sugli stipendi agli operatori, perché in epoca di spending review le gare si fanno al massimo ribasso: costo medio al giorno pro capite 30 euro al giorno, avvocati compresi.
Politiche analizzate sono basate poi sul pattugliamento delle frontiere marittime e terrestri, inclusi sistemi di radio e video sorveglianza sempre più sofisticati che rappresentano si scopre una delle voci più dispendiose, sia a livello nazionale sia comunitario. Radar, fuoristrada, minibus, motovedette, aerei, elicotteri sistemi informatici non si sa con quali marchi -, questo si è comprato con la maggior parte dei fondi stanziati a Bruxelles e a Roma nei diversi Fondi per il contraso all’immigrazione. Tutto nel nome di una presunta «sicurezza» declinata come «strategia di contrasto all’immigrazione irregolare», così la chiamano i governi che si sono succeduti dal 1999 ad oggi e che l’hanno individuata, senza distinzione di colore e campo politico, come priorità, al posto dell’accoglienza. La «politica del rifiuto», la chiama invece la presidente di Lunaria Grazia Naletto, portavoce anche della campagna Sbilanciamoci. Per lei e per tutte le associazioni con cui Lunaria fa rete non è affatto l’unico approccio possibile. Non è certamente la scelta più giusta, perché produce costi umani esorbitanti, dall’ecatombe di naufragi ai diritti fondamentali violati nei Cie, «inaccettabili per uno Stato di diritto» anche per l’Europa. Ma non è neanche la più efficace. Al contrario, è dispendiosa e inefficiente. E resta funzionale solo ad alimentare un’economia caratterizzata da una forte commistione tra attività formali, informali e sommerse, alimentate da lavoro nero, sottopagato e mancanza di diritti.
Tra il 1986 e il 2009 oltre 1 milione e 600 mila stranieri sono stati regolarizzati con successive sanatorie. Mentre i migranti entrati irregolarmente e catturati sono stati, tra il 2005 e il 2011, solo 540mila. Di questi quelli rimpatriati sfiorano il 14% (73mila) e quelli allontanati cioè con decreto di esplusione, spesso ignorato dal singolo sono il 26% (141mila). Nel complesso meno del 40% degli immigrati irregolari rintracciati sono stati sottoposti a procedura di via. Con un picco nel 2011 durante le cosiddette Primavere arabe. Il tutto con costi abnormi: questa strategia di «tolleranza zero» è costata dal 2005 al 2012 la bellezza di un miliardo e 600 milioni.
Dove sono finiti questi soldi? Questo che è solo il primo rapporto sulle politiche migratorie dell’Italia redatto da Lunaria (disponibile sul sito www.lunaria.org) dimostra l’opacità del meccanismo con un capillare lavoro di reperimento di dati ufficiali. Un lavoro non facile perché come conclude con una chiamata in causa per una maggiore vigilanza della Corte dei Conti, delle commissioni parlamentari competenti e del Parlamento europeo la trasparenza è molto carente ovunque nel settore. Mancano dettagli, documentazione, valutazione dei risultati. E anche nei Cie, gli appalti spesso sono ancora senza gara perché dopo 15 anni di detenzione amministrativa per i «clandestini» il sistema è ancora basato sull’emergenza, senza omogeneità né rendicontazione. Neanche la Commissione De Mistura nel 2007 è riuscita a fare luce sui fondi impiegati.
Un capitolo a sé riguarda il Frontex, l’agenzia europea nata nel 2004 per il controllo integrato delle frontiere meridionali dell’Unione, che in pochi anni ha visto quadruplicare il suo budget e il suo personale con interventi crescenti nel 2011, a fronte di finalità e limiti sfumati, tali da farla apparire come «un servizio di intelligence addetto ai migranti». Lunaria chiede l’immediata chiusura dei Cie e in ogni caso il ritorno a una detenzione per identificazione di massimo 30 giorni. Così come vorrebbe che la finalità principale del Frontex, con i suoi potenti mezzi tecnologici, fosse il soccorso in mare ai migranti. Uno strumento utilizzato molto poco, al contrario di ciò che vorrebbero associazioni come Lunaria e l’Arci, è il rimpatrio volontario assistito: incluso un aiuto per aprire un’attività e reinserirsi nella terra d’origine ha un costo unitario medio di 4mila euro, a fronte dei 4-9 mila di un rimpatrio forzato che prevede scorta e spesso una missione di più giorni di agenti in divisa e procedure di sicurezza altrettanto costose per il viaggio. Con una differenza: non c’è divieto di tornare. Si rientra, si tenta, si torna inidetro. Un po’ come faceva Rasek quando le frontiere erano più aperte e l’aria migliore.

L’Unità 02.06.13