Quando trent’anni fa l’Europa decise di mettere al bando la carne di animali allevati con gli ormoni, lo fece sulla base della constatazione che i consumatori non si fidavano più come prima di questi prodotti. E una celebre sentenza stabilì che, pur mancando l’evidenza scientifica incontestata del pericolo connesso al consumare quella carne, l’averla proibita per proteggere il mercato europeo dagli effetti della sfiducia era cosa giusta e meritevole di salvaguardia.
Quando vent’anni dopo venne firmato il trattato che inaugurava il Wto, uno dei suoi primi corollari fu che, senza la valutazione scientifica della pericolosità, nessun paese può proibire alle merci provenienti da un altro di entrare. E questo ha riaperto la questione della carne americana agli ormoni, cui seguirà subito dopo la questione degli Ogm. Perché i grandi gruppi che hanno interesse a questo mercato premono e la navicella delle istituzioni continentali stenta, e non poco, a tenere la rotta in certi marosi.
Qualcuno penserà: però è giusto evitare il protezionismo e basare i divieti sui dati scientifici. Vorremmo e potremmo obiettare che non c’è solo la scienza delle analisi, ma anche più di una scienza umana (dall’economia all’antropologia) che meriterebbe qualche ascolto nel processo decisionale pro o contro gli ormoni. Senza considerare i — peraltro dirimenti, a mio avviso — desideri dei cittadini, che sono anche (non certo soltanto) consumatori.
Ma questo articolo non è dedicato a una battaglia di avanguardia per risparmiare alle nostre tavole e alle fertili lande europee bovini gonfiati con le iniezioni o mais che produce nelle proprie cellule le tossine insetticide che lo proteggono dai parassiti. No, quello che voglio portare alla vostra attenzione è che la Scienza, l’oggettiva Scienza che dovrebbe far giustizia dei pregiudizi e degli oscurantismi, non fa eccezione alla regola generale che vuole che il miglior argomento diventi pretesto e viceversa: basta affidare al lupo la difesa dell’agnello.
A gennaio, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (l’Efsa, con sede a Parma) ha stabilito scientificamente, sulla base di risultanze ampie e univoche, che 3 principi attivi, gli insetticidi più utilizzati in agricoltura nel mondo, sono direttamente responsabili di gravi danni alle api. Le piccole mellifere perdono la strada dell’alveare per gli «effetti collaterali » che gli insetticidi di ultima generazione (neonicotinoidi, perché agiscono sui centri nervosi degli insetti come la nicotina) spruzzati per proteggere le colture da altre pesti, hanno anche su di loro.
C’è stata una prima votazione in Consiglio dell’Unione europea, ed è stato un nulla di fatto. Troppi i contrari e gli astenuti, tra cui la Germania e la Gran Bretagna.
La Francia e l’Italia, invece, che già da due anni ne avevano proibito l’uso dei neonicotinoidi quantomeno per impolverare i semi da mettere nel terreno (concia insetticida presentata come indispensabile per combattere un nuovo parassita e rivelatasi in campo assai meno efficace della tradizionale misura precauzionale agronomica della rotazione delle colture) erano per il bando e lo avevano votato convintamente, ma senza raggiungere i numeri necessari.
L’appuntamento era rinviato al 29 aprile e, questa volta, le centinaia di associazioni riunite nella Convenzione europea dell’agricoltura e del mondo rurale (Arc 2020) avevano fatto le cose in grande: mobilitazione fisica e virtuale, milioni di email ai politici. Con risultati tangibili: davanti a scienza e cittadini uniti, vacillavano le astensioni e persino l’influente ministra tedesca sembrava mossa a difesa delle piccole preziose custodi dell’impollinazione.
Così, al voto è stata raggiunta una maggioranza di 15 paesi con 8 contrari e 4 astenuti, che porterà ad una moratoria di due anni per i principi attivi che l’Efsa ha individuato come nocivi e pericolosi. Una delle più grandi multinazionali della chimica ha minacciato azioni legali contro l’Efsa (che evidentemente secondo loro fa bene il suo lavoro solo se è in linea con gli studi finanziati dalle aziende che producono agrofarmaci), ma un punto è stato segnato.
Anche se è solo una moratoria e non l’auspicabile bando per quei prodotti.
E come mai è solo una moratoria e non un bando? Perché per i meccanismi di voto in Consiglio la maggioranza non è stata sufficiente per una condanna definitiva. Vi starete chiedendo: ma allora i contrari e gli astenuti non si son lasciati convincere? No, in effetti paesi come la Germania e la Bulgaria sono passati nel campo dei sostenitori del bando.
Peccato che ne sia uscita l’Italia, che essendo tra i più popolosi paesi dopo la Germania, insieme alla Gran Bretagna (coerente nella posizione pro chimica), è stata decisiva, in negativo. Nel nostro paese, che aspettava a giorni il parto del governo Letta, i distinguo messi in giro da più parti hanno avuto la meglio su un’istanza civile, democraticamente e scientificamente sostenuta.
Il bando non avrebbe lasciato scampo: inoppugnabile, nel rispetto le regole dell’Ue e del Wto avrebbe posto la parola fine alla carriera di almeno tre cavalieri dell’apocalisse nell’alveare! Purtroppo però è successo un fatto che dimostra che, in fin dei conti, più delle procedure, delle evidenze scientifiche, delle mobilitazioni contano le volontà ferree e coese di consorterie che sanno perfettamente cosa vogliono e quali interessi tutelare.
Si tratta di una lezione amara per tutti coloro che credono che a seguito di segnali d’allarme scientificamente rilevati la partecipazione popolare possa raggiungere qualsiasi risultato, in particolar modo nella tutela dei beni comuni, come l’ambiente, la salute e la biodiversità. Ma si tratta anche di un passaggio epocale perché, in realtà, le decisioni sull’agricoltura in ambito Ue sono sempre state prese lasciando i cittadini fuori dalla porta (in modo che non disturbassero i manovratori, politici da un lato e rappresentanti del mondo agricolo dall’altro, con frequenti osmosi tra i due): lasciati ad attendere le scelte di chi se ne intende e qualche volta se la intende.
La novità è che questa volta, come recentemente avvenuto per la votazione del Parlamento sull’uso dei fondi dell’aiuto diretto all’agricoltura, i cittadini, che sono i fornitori del denaro pubblico, destinato agli agricoltori, non sono più disposti a lasciar correre, a derubricare queste vicende a questioni tecniche.
Le api sono il futuro di tutti: fa specie che i tedeschi lo abbiano messo a fuoco in modo più limpido e netto degli italiani. Ma il vento sta inesorabilmente cambiando e ci auguriamo che la nuova ministra non manchi di accorgersene, dando atto a tutti i cittadini di essere legittimamente interessati a cosa succede fuori città. Il sostegno all’agricoltura non può essere un atto di fede, ma la concreta manifestazione di attenzione per chi può migliorare, proteggere e tramandare l’ambiente in cui viviamo. A patto che lo faccia.
La Repubblica 30.05.13