Oggi e domani sono chiamati alle urne 7 milioni di italiani, un terzo dei quali cittadini romani. Le elezioni amministrative sono anzitutto la manifestazione di volontà di un comunità civica, finalizzata a costituire e indirizzare il proprio governo locale. Dimenticare questa priorità vuol dire negare valore alle autonomie, e spesso letture iperpoliticiste inducono a sbagliare le analisi oppure a strumentalizzare i risultati.
Tuttavia un test così vasto e importante, a tre mesi da elezioni politiche concluse senza un vero vincitore, non potrà non avere anche una valenza generale. Sono palpabili la delusione, la sfiducia, la sofferenza che attraversano il corpo sociale del Paese – come hanno dimostrato venerdì le difficili piazze di Roma. È evidente la paralisi del nostro sistema politico. Ed è ancora più esplicita, più urgente la domanda di una svolta nell’azione di governo: a partire dal lavoro, dal rilancio della domanda interna, dall’ossigeno di cui hanno bisogno le imprese, dalla necessità di riequilibrio nel senso dell’uguaglianza. Sì, perché la disuguaglianza sta diventando uno dei fattori del declino nazionale.
Il voto dei cittadini – proprio perché inciderà nella dimensione locale – non sarà indifferente a queste dinamiche sociali, che toccano ormai tutti i terminali del Paese. Impresa e lavoro possono allearsi, individuando nella rendita finanziaria e in quella parassitaria gli antagonisti di questa fase storica. I Comuni hanno un ruolo importante nel sostegno alle forze sociali del rinnovamento e nella definizione di una nuova idea di pubblico, efficiente, integrata, aperta, ma sempre capace di perseguire il bene collettivo. Proprio per questo a Roma – capofila della tornata amministrativa – è necessario cambiare rotta rispetto alla gestione arroccata e clientelare del potere da parte della giunta Alemanno. Il progetto di Marino, peraltro, ha una dimensione civica che può dare anche un contributo alla ricostruzione del centrosinistra nazionale.
Certo, il governo nazionale del cambiamento non si è realizzato. Per colpa nostra, oltre che per svariate altre congiunture. Il Pd e il centrosinistra non sono stati capaci di presentare un programma e una squadra convincenti, e poi di restare uniti nei passaggi cruciali. La domanda di rinnovamento – nelle scelte politiche e negli uomini – è fortissima. Non la si può affrontare con superbia, e neppure con la furbizia di chi si fa trascinare dell’onda.
Il centrosinistra deve aprirsi e misurarsi, nel merito, con le critiche e i malumori che provengono da chi ha ancora tanta passione e voglia di partecipare al cambiamento possibile: fa più paura il disimpegno silenzioso che la contestazione severa. Ma questo lavoro di riprogettazione politica, compreso quello di un nuovo radicamento del partito nella società (perché senza partiti democratici ci sarà soltanto il potere delle oligarchie), può e deve partire dal basso, dalle città. Le elezioni am- ministrative, pur con tutte le difficoltà di questi giorni, possono essere il primo passo sulla nuova strada.
Di sicuro, il voto non sarà un giudizio sul governo. Nel senso che il governo non è un contratto di «pacificazione», né un’alleanza di tipo tradizionale. Il governo è una modalità inedita – imposta dallo stato di necessità – in cui si esprime la competizione politica. Dopo l’esaurimento dei «tecnici», il compito del governo è portare il Paese fuori dalle secche della recessione e di dargli un assetto istituzionale finalmente europeo. Ma nei Comuni la battaglia principale resta quella tra centrodestra e centrosinistra. Non potrebbe essere altrimenti. E dove il centrodestra è più debole, il centrosinistra se la vedrà con i grillini, cercando di confermare sul campo quella centralità nel tripolarismo italiano che certo è molto scomoda, ma non è scontata. Del resto, Grillo finge di rappresentare un’alternativa politica. In realtà – e lo hanno scoperto molti suoi elettori – il Movimento Cinque stelle ha lavorato tenacemente in questi tre mesi per riaprire a Berlusconi le porte del governo. Grillo non vuole cambiare, vuole lucrare sullo status quo.
Speriamo invece che Enrico Letta riesca a ottenere in Europa una svolta nelle politiche economiche e sociali, e a tradurle in provvedimenti innovativi. Ma intanto, mentre fa i conti con i propri errori e con i propri limiti, il Pd e il centrosinistra devono tenere alta la sfida. Il governo non è solo potere. Anzi, oggi è assai poco potere. Il governo come servizio alla comunità è in primo luogo la dimensione sperimentata nelle realtà locali. Dai Comuni partì a metà degli anni 90 quell’onda di rinnovamento, di europeismo positivo, di coesione sociale che generò l’Ulivo, progenitore del Pd. Stiamo ora entrando in nuova stagione. Con nuovi protagonisti e nuovi traguardi. Ma la spinta delle città, compresi le donne e gli uomini protagonisti del buon governo locale, resta indispensabile per il progetto del centrosi- nistra. Non si tratta di costruire un partito degli «eletti» o un partito dei sindaci. Si tratta di riattivare dal basso il circuito della politica democratica. Senza un centrosinistra vitale non ci sarà il cambiamento. Non basterà un capo carismatico a riparare i danni di un altro capo-padrone.
L’Unità 26.05.13