Se può esistere una graduatoria dell’orrore, l’uccisione della ragazza di Cosenza arriva a fondo scala. La giovane età della vittima e del presunto carnefice, la ferocia, l’inferno che inghiotte i sentimenti. Un femminicidio scolvolgente proprio perché tanto acerbo. Sarebbe di qualche sollievo pensare che chi uccide così sia un pazzo, che sia cresciuto in una famiglia violenta o abbia una storia criminale alle spalle. Sarebbe un modo per tracciare una linea netta tra noi e loro.
Ma è davvero così?
Un tempo i criminologi inquadravano i casi di femminicidio guardando alla provenienza sociale della vittima e concentrandosi sulla trasmissione intergenerazionale della violenza. Poi gli approcci psicanalitici hanno puntato i riflettori sulla donna, chiedendosi se chi resta vicino a un violento non lo faccia per masochismo. A cominciare dagli Anni ’70 il femminismo ha cambiato ancora una volta il quadro. Le donne abusate sono diventate le vittime «di uomini ordinari che agiscono in un contesto sociale di autorità e dominio maschile». Dove sta la verità?
Il Murder in Britain Study è un’investigazione di 3 anni su tutti i tipi di omicidio commessi nel Regno Unito e permette di confrontare centinaia di casi. Ci dice che il rischio di femminicidio è maggiore in giovane età, quando le relazioni sono più instabili e le pulsioni tumultuose. L’infanzia e la vita adulta degli autori dei femminicidi è più tormentata di quella della popolazione generale, ma è più convenzionale di quella degli altri assassini. In generale i primi presentano meno traumi familiari, meno problemi sociali, minor abuso di alcol rispetto ai secondi. Le casistiche internazionali indicano che circa metà delle donne uccise dal partner aveva già subito violenze da lui. Ma le violenze sono commesse anche da assassini con la fedina penale pulita.
Chi sono questi uomini che non delinquevano e non picchiavano, ma un giorno, inaspettatamente, hanno ucciso, magari infierendo ripetutamente sul corpo?
Ciò che sembra improvviso il più delle volte in realtà non lo è: c’è quasi sempre un passato di tensioni, litigi, idee oppressive su come dovrebbe comportarsi una fidanzata o una moglie. L’immagine di apparente normalità spesso torna a manifestarsi in carcere, dove molti tendono a comportarsi da detenuti modello. Questo non significa, purtroppo, che quando torneranno in libertà non costituiranno più un pericolo, se non vengono efficacemente trattati.
Il 44% di loro, secondo lo studio inglese, non è pentito, il 60% non prova empatia nei confronti della vittima. Possono esserci o meno precedenti penali, ma secondo gli specialisti tra il 70 e l’80% degli autori di questi omicidi ha dei problemi con le donne. Per questo chi pensa che siano uomini normali sbaglia e fa un torto al genere maschile. Ma chi parla di violenza di genere ha ragione, perché ad armare la mano spesso è una concezione aberrante del rapporto tra uomini e donne.
Il Corriere della Sera 26.05.13