Quello che nessuno si aspettava è che la riforma, lungamente attesa dopo il tradimento del referendum abrogativo del 1993, sarà già oggi al primo punto del Consiglio dei ministri.
Il governo inizierà infatti la discussione sui principi generali del disegno di legge che abolisce il finanziamento pubblico e lo sostituisce con varie forme di contribuzione dei cittadini agevolate fiscalmente. Il premier vuole il via libera “politico” già stamani, è determinato a portare a casa il risultato: «Puntiamo — ha confidato ieri a un espomassa
nente del Pd — ad approvare l’articolato, poi il testo completo con la bollinatura della Ragioneria generale per la parte fiscale, approderà al successivo Consiglio dei ministri tra pochi giorni. Era un impegno che mi ero preso nel discorso della fiducia e lo farò».
Letta si è fatto consegnare dagli uffici i vari disegni di legge già depositati in Parlamento sulla materia. Se ne contano almeno sette per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, tra cui due dei renziani del Pd, una del Movimento 5 Stelle, una del leghista Roberto Calderoli e, ultima arrivata, Scelta Civica con Gregorio Gitti. Visto che tutti o quasi sembrano convergere sulla meta, il capo del governo si dice «fiducioso in una veloce approvazione ». Si tratta di una
enorme di denaro, nonostante sia stata già tagliata dal governo Monti. Per le elezioni del febbraio scorso i partiti riceveranno infatti 159 milioni di euro.
E poi cosa accadrà? Il piano prevede una serie di misure a favore della buona politica. Anzitutto la contribuzione volontaria dei cittadini, che saranno incentivati con detrazioni fiscali. Ma il ministro Gaetano Quagliariello, nel discorso programmatico di due giorni fa in commissione, ha alzato il velo su altri provvedimenti allo studio. Sempre tenendo fermi i due canoni della «sobrietà» e della «trasparenza ». Rimborsi elettorali potranno pure essere previsti, perché «la democrazia ha un costo che, per una sua parte incomprimibile, non può essere disconosciuto ». Tuttavia non potrà più essere un «finanziamento elettorale mascherato», come di fatto accade oggi, ma un rimborso effettivo «commisurato alle spese sostenute e documentate per la campagna elettorale». L’obiettivo finale è comunque un altro, più ambizioso. Ovvero che lo Stato «sostituisca l’erogazione diretta di denaro con la fornitura di servizi in ogni caso in cui ciò sia possibile». Nel progetto del governo i partiti potrebbero ottenere gratuitamente non solo agevolazioni postali o spazi televisivi per comunicare (come avviene nei programmi dell’accesso), ma anche sedi effettive, luoghi fisici, spazi pubblici per celebrare direzioni, congressi, riunioni.
«Se non c’è la capacità di essere austeri, con costi della politica ridotti, non si riesce ad avere la credibilità per ottenere risultati concreti», ha detto il premier davanti alla platea di Confindustria.
Intanto è partito con un decreto bandiera che riguarda i membri del governo. Un primo passo simbolico, ma tagliare i doppi stipendi qualcosa ha già prodotto. Come ha scoperto l’Ansa andando a leggere le tabella della relazione al decreto Imu-Cig, il risparmio complessivo è di 1,56 milioni di euro (2 milioni lordi). Il solo Letta rinuncia infatti a 75 mila euro l’anno (poco meno di 100 mila lordi), i 13 ministri in totale a 652 mila euro e i 20 sottosegretari a 834 mila. Intanto la presidenza della Repubblica fa sapere di aver fatto la sua parte per tagliare i costi del palazzo. Di non aver chiesto cioè «alcun adeguamento della sua dotazione» allo Stato per il triennio 2014-2016 e aver mantenuto i suoi fondi fermi al valore del 2008 (228 milioni), nonostante che da allora ad oggi sia già maturato un tasso di inflazione pari all’11%. La politica di risanamento avviata fin dall’inizio del primo settennato di Giorgio Napolitano ha già prodotto per le casse dello Stato risparmi stimati in circa nove milioni di euro l’anno. Per un totale di 63 milioni di euro.
Anche dentro al Pd — Renzi aveva sollevato per primo il problema — il dibattito si scalda sul finanziamento pubblico. Il partito, attacca Pippo Civati, «deve dare subito un messaggio, rinunciando ai soldi che non ha speso durante questa campagna elettorale». «Quelli che ha già speso e fatturato, cioè circa 11 milioni su 45 — ha aggiunto il deputato del Pd —, è giusto che vengano pagati, mentre gli altri 34 devono essere lasciati allo Stato come grande segnale al paese in questo momento di difficoltà ».
Slitta invece a luglio il disegno di legge costituzionale per l’abolizione delle province. Il governo ha deciso di attendere la decisione della Corte costituzionale su alcuni aspetti della spending review che toccavano, appunto, le province. E la sentenza è attesa per il 2 luglio. «Ma le aboliremo ribadisce Letta – lo abbiamo promesso ».
La Repubblica 24.05.13