Le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello di Milano delineano uno scenario inquietante. E confermano, oltre agli aspetti penalmente rilevanti, quanto distorsivo per il sistema democratico sia il conflitto d’interesse berlusconiano. Ma tutto ciò non cambia le ragioni costitutive del governo Letta, né consente deroghe al principio di legalità.
Il governo Letta è nato per affrontare una duplice emergenza. La prima: l’Italia ha bisogno vitale di politiche per il lavoro e la crescita, quelle politiche che i «tecnici» non sono stati capaci di attivare e che ora l’Europa, al culmine della crisi, può forse consentire dopo aver pagato un tributo altissimo all’austerità. La seconda emergenza: le riforme istituzionali ed elettorale, senza le quali nessuna nuova elezione può essere risolutiva, nel senso di consentire agli italiani di scegliere un Parlamento funzionante e un governo efficiente.
All’ombra del governo nessuno scambio improprio è possibile. Se la «pacificazione» è apparsa da subito un’espressione priva di senso, tanto più deve esserlo ora per chi ha immaginato salvacondotti a favore del Cavaliere. Quando la Cassazione pronuncerà il verdetto definitivo su
questo processo, la politica e le istituzioni dovranno inderogabilmente attenersi. Nessuno è condannato fino a sentenza definitiva, ma nessuno può sottrarsi alla legge dopo quella sentenza. Questo è il paradigma della legalità e della garanzia del diritto.
Berlusconi non sarà espulso dal Parlamento per il voto di una maggioranza politica che ribalterà il giudizio sull’ineleggibilità (ex legge 361 del 1957), consolidato nelle passate legislatura. Non per uno scambio vergognoso tra governo e principio di legalità. Ma semplicemente perché nessuna forza ancorata alla Costituzione e al buon senso può assumersi la responsabilità di una simile forzatura.
Il punto che deve essere chiaro al Cavaliere e a tutti gli altri è che la trattativa, su questi terreni, sarà impossibile anche in futuro. Se Berlusconi verrà condannato in via definitiva, non ci potranno essere sconti. La legge è uguale per tutti. E se a Berlusconi, nell’altro processo a
suo carico, fosse inflitta la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, la decadenza da senatore diventerà inevitabile.
Il leader del Pdl ha partecipato alla «stranissima» maggioranza per trarne un qualche vantaggio sul piano giudiziario? Allora è meglio che ritiri subito la fiducia al governo Letta e proponga apertamente le elezioni anticipate.
Il governo Letta richiede patti chiari. Il programma deve procedere con celerità, ma stavolta è chiaro che far saltare il tavolo vuol dire mettere a rischio il futuro stesso del Paese. Piuttosto la vicenda processuale di Berlusconi colloca di nuovo molto vicino alle priorità una legge moderna anti-trust e anti-conflitto di interessi. Se ci fosse una destra in Italia, capirebbe che il problema – e il rischio democratico – va molto oltre Berlusconi. Non vorremmo che finita la stagione del Cav ci trovassimo con conflitti di interesse ancora più intricati, e senza avere più a disposizione gli anticorpi sociali.
L’Unità 24.05.13