Governare con Berlusconi è peggio che praticare uno sport estremo. Ma questo si sapeva e nessuno si sarebbe misurato con un’impresa ai limiti del possibile se non fosse stato per la drammatica crisi economica, per la vergognosa legge elettorale e per i madornali errori del Pd. Il problema ora è come gestire una fase di turbolenza che rischia di mettere in tensione il governo Letta, di indebolire l’impegno per far ripartire il Paese e di minare il percorso delle riforme costituzionali.
La strategia di Berlusconi è ormai chiara: stop and go, con agguati e ricatti. Prova a guidare il gioco, a incassare il bene che farà il governo e scaricare sulla sinistra quel che non riuscirà a fare. Ma l’ossessione giudiziaria del Cavaliere sta strattonando ogni giorno di più la «stranissima maggioranza». Quello scritto ieri, con l’oscena proposta di legge per dimezzare le pene del concorso esterno in associazione mafiosa, è solo l’ultimo capitolo della serie. Nelle stesse ore Berlusconi ha agitato il fantasma della sua ineleggibilità con l’accusa ridicola al Pd di volerlo far fuori. Insomma, è un terremoto continuo.
Certo, il Pd non può impedire a Berlusconi di fare danni, ma può sicuramente fargli pagare un prezzo per questa sua irresponsabile attività, cercando di aprire contraddizioni nel Pdl. Ci sarebbe bisogno di un Pd che evitasse di subire da una parte le pressioni della destra e dall’altra le minacce e gli insulti di Grillo barcamenandosi tra una trappola e l’altra e mostrando di continuo le proprie fragilità. Se il governo Letta ha un senso, il Pd deve farlo proprio fino in fondo. Epifani sta cercando faticosamente di ridare una rotta a un partito che negli ultimi mesi ha vissuto la crisi più drammatica dalla sua nascita. Ha rimesso al centro il tema fondamentale del lavoro, incita il premier a sbattere i pugni in Europa affinché si allenti la morsa del rigore e si mettano in campo politiche non convenzionali per la crescita. Però non basta Epifani. Perché non si governa una fase così complicata e piena di insidie con un partito che è ancora diviso, nel quale troppo spesso contano di più i destini personali che non l’interesse della comunità che si rappresenta e del Paese che si vuole governare. La ricostruzione del Pd avrebbe bisogno di una maggiore consapevolezza, da parte di tutti, del tempo che stiamo vivendo, altrimenti si finirà tra le macerie. E sulle macerie è poi difficile riedificare.
Queste verità bisogna dirsele con chiarezza, anche se sono crude. Se il Pd non ritrova lo spirito di combattimento uscirà malconcio da questa difficile esperienza di governo. In questa impresa, infatti, non ci si può stare con un piede solo, e qualcuno addirittura solo con la punta. Bisogna starci con coraggio e con la schiena dritta. Sapendo che sono due le sfide da giocare: quella del lavoro (e soprattutto del lavoro per i giovani) e quella della riforma della politica (e soprattutto di una seria riforma elettorale che faccia dimenticare l’osceno Porcellum di Berlusconi e Bossi). Su questi temi bisogna battagliare, insistere, incalzare il Pdl e sfidare il Movimento Cinque Stelle. Rendendo chiaro al Paese che non ci sono scambi, patti, pacificazioni. Che sulla legalità non ci sono scorciatoie possibili perché la legge è e resta uguale per tutti. E che il vero interesse è risollevare l’Italia, dare ossigeno alle imprese, rendere meno fosco il futuro dei giovani, consegnare agli elettori un sistema istituzionale che sia efficiente e che garantisca la certezza del loro voto.
Il binario del governo è evidente, come è scritto nero su bianco nel programma illustrato dal premier in Parlamento al momento del voto di fiducia. Su queste coordinate deve esercitarsi la vera competizione con la destra. E chi esce fuori dalla rotta indicata si assume la grave responsabilità di una eventuale crisi. Non si può più consentire a Berlusconi di condurre le danze. Per fare questo, però, il Pd deve smetterla di farsi del male. Deve ritrovare il suo «senso comune», saper interpretare il malessere che si agita tra i suoi militanti e non lasciare che vinca la sfiducia o la rassegnazione. La sinistra deve saper fare la sinistra, soprattutto nei momenti più difficili.
L’Unità 22.05.13