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"Perché serve lo «sconto» Ue", di Alberto Quadrio Curzio

Il 29 maggio la Commissione europea valuterà la chiusura della procedura per deficit eccessivo decisa nei confronti dell’Italia nel dicembre del 2009 dall’Ecofin che forse ne tratterà (informalmente) anche oggi. Allora fu chiesto al nostro Paese di abbassare il rapporto del deficit sul Pil almeno al 3% entro il 2012 avvicinando il pareggio strutturale di bilancio e “assicurando” il rispetto di questi vincoli anche per gli anni successivi. È noto come queste prescrizioni abbiano spinto la nostra pressione fiscale al 45% del Pil e abbiano penalizzato investimenti, occupazione e crescita. Esiti in parte dovuti sia alla perdita di fiducia sofferta dall’Italia nel novembre 2011 sia alla nostra incapacità di adottare durevoli politiche economiche per l’efficienza e produttività del “sistema Italia”. Argomenti sui quali bisognerà ritornare esaminando le modifiche che il Governo Letta apporterà al “Programma di stabilità” e al “Programma nazionale di riforma” che il Governo Monti ha presentato alla Ue nel contesto del “semestre europeo” e sul quale la Commissione si esprimerà il 29 maggio. Il passaggio del governo della nostra economia tra questi due Esecutivi italiani non deve però preoccupare l’Europa malgrado l’inclinazione della Commissione a preferire le scelte tecnocratiche a quelle politiche. Perché è proprio di queste ultime che la Ue, la Uem e l’Italia hanno bisogno per uscire dalla crisi. L’Europa, la Ue e la Uem. La “sua” scelta nella grande crisi iniziata nel 2008 è stata una politica di austerità ormai subissata di critiche sia da operatori di grande esperienza (si veda per tutti Soros) sia da veri economisti (si veda per tutti Krugmann) sia, diplomaticamente, dall’Fmi. La “nobile” motivazione che bisognava educare al rigore i Paesi “spendaccioni” sia per garantire la stabilità delle loro finanze pubbliche nel tempo sia per generare una crescita sana, è stata smentita dai fatti. Gli stessi dicono che mentre gli Usa avranno nel 2013 un Pil superiore di 4,9 punti percentuali a quello del 2007 la Ue soffre di un calo di -0,7 punti e la Uem di -1,6 punti. Ne segue che gli Usa hanno un tasso di disoccupazione del 7,6% e la Uem del 12,1%. È vero che l’Europa ha finanze pubbliche migliori degli Usa e che vari Stati europei necessitano di riforme strutturali per l’efficienza ma è altrettanto vero che se la crisi porta al dissesto socio-economico di qualche grande Paese, le riforme per la crescita non si potranno fare. L’Italia. Per capire la situazione a fronte dell’atteso giudizio del 29 maggio consideriamo tre dati. Il primo è la decisione dell’Ecofin del 2 dicembre 2009 che portò alle prescrizioni di ridurre il deficit sul Pil dello 0,5% all’anno per scendere sotto il 3% entro il 2012. La richiesta si basava su una previsione di calo del Pil del 4,7% nel 2009 e di crescita positiva nel 2010 e 2011. Purtroppo nel 2009 il calo è stato peggiore (-5,5%) mentre la crescita dei due anni successivi è stata modesta (1,7% e 0,4%) rispetto alle previsioni del Governo. Poi nel 2012 il Pil è crollato del 2,4% e nel 2013 è previsto un calo dell’1,3%. Vi è perciò un aggravamento delle circostanze attenuanti per dare all’Italia più flessibilità sul deficit. Questo è anche confermato dal confronto con altri due Paesi. La Francia ha di recente avuto una proroga per far scendere il deficit sul Pil al 3% al 2015 e la Spagna al 2016. Eppure questi Paesi sono sotto procedura di deficit eccessivo dal 27 aprile 2009 e cioè prima dell’Italia. Inoltre mentre l’Italia ha avuto nei sei anni dal 2008 al 2013 (in previsione) un calo del Pil di -8,30 punti percentuali, la Spagna l’ha avuto di -5,60 punti e la Francia ha avuto un aumento di 0,10 punti. Legittimo è chiedersi perché a questi Paesi siano state date proroghe a causa della loro recessione mentre l’Italia viene esaminata con il microscopio (come risulta dalla continue richieste del commissario agli Affari economici, Olli Rehn) anche sul rispetto per gli anni a venire dei saldi di bilancio. Siamo confidenti che il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, con la sua grande professionalità, saprà rispondere alle richieste europee senza assoggettarsi ai formalismi contabili e anche spiegare (e difendere) le prefigurate scelte italiane per la crescita che si stanno delineando nella sede politico-economica dell’Eurogruppo e dell’Ecofin a cominciare dalle riunioni che si tengono in questi giorni. In conclusione. Il Governo Letta, essendo nuovo, deve chiedere di più all’Europa anche nell’interesse europeo. A tal fine è bene ricordare alla Germania che nel novembre del 2003 l’Ecofin ha deliberato di non assoggettarla (con la Francia) alla procedura di infrazione malgrado superasse il 3% del deficit sul Pil e malgrado non avesse accolto precedenti raccomandazioni correttive della Commissione. Sarebbe bene riesaminare anche sia il successivo contenzioso, a proposito delle violazioni di bilancio tedesche, tra la Commissione e il Consiglio Ecofin presso la Corte di Giustizia della Ue sia la neutra sentenza di quest’ultima del 13 luglio del 2004. Perché sulla base di quella vicenda si dovrebbero porre dei quesiti e cioè: in che misura in un Paese che ha, come l’Italia, un crollo del Pil e che ha adempiuto entro il 2012 alle prescrizioni europee, è anche tenuto a dare garanzie vincolanti per il futuro? In che misura si possono adottare legittimamente in Europa decisioni che configurano disparità di trattamento tra Paesi (Italia da un lato Francia e Spagna dall’altro) della Uem? Non ci sembra basti infatti la risposta che il debito sul Pil dell’Italia sarà nel 2013 al 131,4% sia perché questo esito è causato anche dalla nostra dura recessione sia perché nei sei anni 2008-2013 la crescita del nostro debito pubblico è di 25,3 punti percentuali mentre quella della Spagna è di 51,1 punti. Cioè un incremento doppio di quello italiano!

Il Sole 24 ore 14.05.13