Se il sistema politico è davvero, come si dice, impazzito, è anche possibile, anzi assai probabile, che i giornalisti e gli osservatori prendano degli abbagli, anche questi di natura psicopatologica. Ma quando il presidente dei senatori del MoVimento Cinque Stelle Vito Crimi con voce piana ed espressione persino giudiziosa teorizza, nell’intervista a Lucia Annunziata, che Beppe Grillo «è come un padre che accompagna un bambino che sta camminando carponi e lo guida affinché faccia un percorso lontano dai pericoli, a cominciare dai soldi», ecco, ce n’ è quanto basta per prendere sul serio questa storia del Padre e del Bambino che gattona, anche verso il denaro della diaria e dei rimborsi.
Con il che, rivelatisi del tutto superflui quarant’anni di cronache partitocratiche, scartati i sacri testi di sociologia della leadership e l’irresistibile tentazione è di concentrare lo sguardo, per quanto possibile, sull’oscuro orizzonte della psicoterapia e delle dinamiche famigliari. Magari incrociando la disputa sugli scontrini con i codici affettivi dell’analisi transazionale: il M5S come “Bambino Naturale”, o “Bambino Adattato (sottospecie “sottomesso” e “ribelle”), “Bambino Astuto”, detto anche “Piccolo Professore”, e infine, se Dio vuole, “Bambino Libero”.
Come pure, sempre osservando il povero Crimi ormai entrato a far parte dell’intrattenimento televisivo della domenica, ci si sorprende a valutare se per caso l’accusa di fare «la cresta» rivolta da Grillo ai deputati che lamentano di alloggiare in tre per stanza in albergucci vicino alla Stazione Termini, o peggio di nutrirsi chi di pizza al taglio e chi solo di kebab, ecco, viene da chiedersi se non sia per caso da mettere Grillo in relazione con la figura tutta freudiana del “padre dell’orda primitiva” che da spietato despota si riservava il possesso di tutte le donne uccidendo e cacciando i figli — fino a quando questi si scocciarono e gli fecero finalmente la festa, culminata nel “banchetto totemico”.
E insomma, sarà che a un certo tipo di politici, da Stalin a Mao, da Gheddafi fino a Berlusconi comunque piace un sacco di chiamarsi o di farsi invocare “padre”, “grande padre”, “piccolo padre”, “padre padrone”, “buon padre di famiglia” e in alcune circostanze addirittura “papi”. E anche sarà, come pure proclama Crimi, “la rivoluzione”. E però è anche vero che mai finora era risuonata una più compiuta dottrina regressiva, mai si era espressa con parole tanto semplici, famigliari, una relazione infantile di consapevole servitù, tale da spegnere ogni facoltà critica — in cambio di cosa è già più difficile dire.
E la novità purtroppo non assolve nessuno, tantomeno gli avversari di Grillo e dei grillini, perché nel merito delle insidie l’improvvido Crimi non ha tutti i torti. Perché così come la smaniosa partecipazione ai talk-show non ha certo migliorato la qualità della democrazia, per giunta degradando il discorso pubblico a vaniloquio e omologando il ceto politico in un’unica litigiosa compagnia di giro, i soldi sono davvero “un pericolo”. E a parte le ville, gli appartamenti, le barche, le vacanze, i diamanti, i rolex, le lauree albanesi, le escort, ma anche le feste di cresima, i Redbull, i gratta&vinci e perfino l’orsacchiotto di peluche acquistato a spese della regione Basilicata, il fatto che oggi si vogliano cancellare per legge finanziamenti e “rimborsi” è la prova provata che il rischio esiste, e per tutti, anzi più per gli altri che per i grillini.
Ma questa storia del Padre e del Bambino, francamente, questa rassegnata rivendicazione della propria minorità, questa specie di cupidigia di paternalismo non è che poi sembri molto sana. E anche sulla specifica paternità di Grillo, come pure dello zio Casaleggio, che insieme atterrano e suscitano, affannano e consolano, ci stanno, però non ci stanno, ogni tanto si degnano, e comunque o si fa così o loro se ne vanno, è lecito nutrire qualche dubbio.
Chi ha osservato i sistemi “democratici” in voga per anni e anni nella Lega di Bossi o nel partitoazienda berlusconiano sospetta che Grillo li abbia, piuttosto che sovvertiti, portati a evoluto compimento. Ed è chiaro che, dopo troppe buffonate, il Grande Buffone non solo se lo meritano, ma se lo sono chiamato loro, e ora che c’è sarà meglio trarne il bene — che poi sarebbe il fine della politica.
Ma negli anatemi volgari, intanto, nei capricci insensati, nei sondaggi misteriosi e retrattili, come nel piccolo dettaglio di imbarcare deputati senatori in un pullman senza nemmeno dirgli la destinazione, si intravede una davvero curiosa figura di padre, ben al di là del modello edipico che ne fa il simbolo della Legge. Un padre anarchico e al tempo stesso tiranno, un padre-adolescente che si manifesta con insulti e immagini apoca-littiche, e si veste e si esprime come i suoi figli che salva dai pericoli, ma su cui non cessa di esercitare la sua assoluta proprietà — con buona pace dei giornalisti politici che non capiscono e degli psicoterapeuti che capiscono troppo.
La Repubblica 13.05.13