E’ del tutto incompatibile, per un Vice premier che per aggiunta occupa anche il dicastero degli interni, la presenza in una piazza che urla contro la magistratura. Anche se con il codice di procedura penale del 1989 il Viminale non ha più nelle mani il controllo della polizia giudiziaria, Alfano non può permettersi di manifestare contro l’operato di un legittimo potere dello Stato.
La certezza del diritto nell’esperienza italiana (diverso è il caso di Francia o Spagna) è stata congiunta dal legislatore alla rigida sottrazione di ogni possibilità di condizionamento da parte del governo. L’esecutivo non può interferire nell’andamento del processo penale e intromettersi nella piega delle indagini svolte dalle toghe che possono districarsi in un regime di piena autonomia.
La bestia nera della destra sinora erano stati i pubblici ministeri politicizzati di alcune procure calde. Adesso il grido di rivolta coinvolge tutta la magistratura, inquirente e giudicante. È la separazione dei poteri, come solido principio costituzionale, che in realtà viene aggredito. Le sentenze, in uno Stato di diritto, non possono essere oggetto di mobilitazioni di piazza a sostegno o a contestazione degli atti dei tribunali.
Il giudice non risponde alla piazza dei contenuti delle proprie decisioni, adottate nella correttezza formale e secondo le procedure vigenti. Proprio mentre indica nella magistratura politicizzata il cancro da estirpare, la destra auspica l’avvento di una magistratura del tutto prona alle ragioni del ceto politico. L’opinione pubblica infatti non c’entra nulla con il merito delle sentenze già emesse o con quelle in procinto di essere adottate. E quindi l’appello al popolo radunato, visto come tribunale supremo della nazione, introduce una forzatura politica che stravolge le delicate funzioni ritagliate per un autonomo potere dello Stato. La destra denuncia la scarsa indi- pendenza della magistratura e poi però organizza manifestazioni di piazza che di fatto lasciano scivolare le competenze delle toghe nel piano delle crude opportunità politiche. Né il consenso né il dissenso di massa verso l’operato di un tribunale possono essere oggetto di una iniziativa politica di piazza che, in quanto tale, altera le prerogative e le specifiche attribuzioni dell’autorità giudiziaria. Nel sistema giudiziario italiano ci sono tutte le condizioni legali per lo svolgimento di un giusto processo che, nell’accertamento rigoroso delle responsabilità individuali, si svolga con il rispetto pieno delle tutele dell’imputato e dei necessari vincoli procedurali. Solo chi aspira ad un comando politico sui poteri, che la Costituzione disegna come separati, può dipingere i magistrati, lo ha fatto Berlusconi ancora ieri a Brescia, come «accecati dal pregiudizio politico, dall’invidia e dall’odio verso le classi sociali imprenditoriali».
Che un politico fresco di condanna proprio per la divulgazione a mezzo stampa di intercettazioni senza alcun rilievo penale (quelle di Fassino con Consorte) si scagli contro il circuito mediatico e giudiziario e invochi misure esemplari a tutela della riservatezza e del segreto istruttorio fa parte della consueta com- media berlusconiana. Che però dei ministri partecipino al rito di piazza che accusa i magistrati di «fare del male », di voler decapitare un partito di governo, di perseguire un giustizia di classe, rivendica una immunità al leader perché unto dal popolo è un evento inaccettabile.
Berlusconi non può indossare in piazza gli abiti di Tortora: chi si rifugia nell’impunità del più forte non può paragonarsi ad una vittima sacrificale. La proposta di una separazione delle carriere con concorsi diversi per liberare il giudice dall’influenza nefasta dei magistrati inquirenti è del tutto strumentale (il 40 per cento dei processi finiscono in un modo diverso da quello richiesto dal pubblico ministero). Anche l’idea di trasformare il pubblico ministero in un «avvocato dell’accusa », come lo ha definito ieri il Cavaliere, urta con il quadro normativo vigente (il pubblico ministero non può essere una figura privata reperibile nel mercato, ha infatti la polizia alle sue dipendenze). Le funzioni di accertamento della verità e le garanzie per le parti in un processo non arbitrario sono già disponibili nell’ordinamento italiano. Lo spirito di fazione di chi con cortei e appelli al popolo si scaglia contro le libere istituzioni della repubblica è difficilmente compatibile con un ruolo di governo entro una coalizione sorta solo per uno stato di necessità.
L’Unità 12.05.13