Cento anime e nessuna identità. Il dramma pirandelliano del Pd, il «caro defunto» lo chiama qualcuno, prosegue con toni e riti sempre meno comprensibili al comune cittadino. Anche ieri, nel giorno dell’elezione di Epifani, si sono fatti rubare la scena da Berlusconi, nel bene o nel male. Tumulti da prima pagina a Brescia, minuetti dal palco della Fiera di Roma. Nella lunga lista degli intervenuti, a rappresentare con tutele da manuale Cencelli tutte le correnti interne, non se n’è trovato uno capace di stare sul fatto del giorno. E magari dire con chiarezza che un condannato in appello per evasione fiscale dovrebbe dimettersi, insieme ai ministri manifestanti, invece di arringare le folle in piazza. Così, per dare un contentino ai poveri elettori. I quali, al solito, stanno da un’altra parte. Sono in piazza a Brescia, a contestare Berlusconi, l’innominato dell’assemblea Pd. Quello che i dirigenti del partito debbono fingere di considerare davvero uno statista, un alleato affidabile, una sponda per le riforme necessarie a rilanciare il Paese. Non un caimano che pensa ai troppi affari suoi, convoca l’ennesima piazza eversiva e vi raduna i ministri appena nominati a fare da claque per i soliti attacchi alla magistratura.
L’unico che aveva intenzione di dirlo, il sindaco di Bari Michele Emiliano, non l’hanno neppure fatto entrare nella sala dell’assemblea. È rimasto fuori a masticare amaro: «Ci stiamo mettendo una vita per nominare un camerlengo. Berlusconi per scegliere il suo (Alfano ndr)
ha impiegato due minuti».
Questo è più o meno il senso di un’altra giornata vissuta come in un acquario. Con qualche momento patetico, come la salita sul palco di Pierluigi Bersani, salutato con uno svogliato tentativo di standing ovation, subito abortito. «Si vince insieme, si perde da soli» ha detto l’ex futuro premier, guardando dalla parte dei dalemiani, i quali naturalmente applaudivano. Per quattro anni avevano fatto finta di essere bersaniani e un minuto dopo la sconfitta su Prodi intorno a Bersani non c’era più nessuno.
Nel caos calmo del Pd, il blocco dei dalemiani e quello dei popolari, in pratica i post comunisti e i post democristiani, costituiscono l’unica certezza. Sono stati loro i registi delle ultime scelte del partito. Il boicottaggio della candidatura di Prodi, l’affossamento della linea Bersani, il ripescaggio di Napolitano e l’alleanza con la destra. La nuova «svolta di Salerno» dicono dal palco. Una bella inversione a U in autostrada, secondo altri. Sono passati vent’anni e comandano sempre loro. Hanno usato Veltroni contro Prodi e poi Bersani contro Veltroni, adesso Letta contro Bersani. Ora la strategia prevedeva la nomina di un reggente di scarso peso, Guglielmo Epifani, per traghettare il partito fino all’autunno, in attesa di farsi venire una buona idea per far fuori Matteo Renzi.
Il sindaco di Firenze, persona sveglia, l’ha capito. Nel suo intervento, uno dei pochi comprensibili e perfino affascinanti, si è permesso di ricordare a chi da vent’anni elabora vecchie soluzioni per nuovi problemi che il mondo cambia in fretta, senza aspettare i tempi del centrosinistra italiano. Si è permesso pure qualche soddisfazione personale e qualche brillante battuta da esperto di twitter: «Se non si prendono i voti degli elettori delusi del centrodestra, poi tocca prendere i ministri della destra». Renzi è l’unico in grado di dare una nuova e moderna identità a un partito mai nato e aggrappato a due identità vecchie e ormai inutili, ex Pci ed ex Dc. «Una sinistra che da decenni non conosce e quindi non riconosce il nuovo mondo del lavoro che dovrebbe rappresentare », spiega il sociologo e neo eletto Franco Cassano. Per queste ragioni gli oligarchi del Pd, dalemiani ed ex popolari, ora cercano di usare Enrico Letta contro il sindaco di Firenze. La scelta inconsueta di far finire l’assemblea del partito con le conclusioni del presidente del Consiglio in carica è significativa. La strategia è far durare il governo il tempo necessario per rottamare il rottamatore e presentare alle elezioni Letta candidato premier del centrosinistra. Più tardi, con calma, dalemiani e popolari penseranno anche a come far fuori Letta, come hanno fatto con ben sette leader del centrosinistra. Un merito che è limitativo attribuire al vanesio Berlusconi. Hanno già deciso tutto. Poi però le cose cambiano, il mondo corre in fretta come dice Renzi, Berlusconi torna a rivelare la natura di caimano. La politica e la vita alla fine sono quel che accade mentre elabori progetti sbagliati.
La Repubblica 12.05.13