A Milano un giovane uscito di senno aggredisce i passanti impugnando un piccone. Ne uccide uno, ne ferisce gravemente altri due. Il crimine è gratuito e orribile. L’uomo non è italiano. È un africano, non ha permesso di soggiorno, ha precedenti con la giustizia. È in Italia dal 2011, in attesa di risposta alla domanda di asilo. Vive – diciamo così – nelle smagliature di una rete giudiziaria e poliziesca che non è in grado (anche per i costi molto elevati) di espellere chi non ha diritto, ma neppure di legalizzare chi lo avrebbe.
Nella rudimentale dialettica della politica italiana, niente è più prevedibile del riflesso pavloviano che l’evento scatena. Passano poche ore e la responsabilità di quel sangue viene scaricata addosso al ministro per l’integrazione del governo Letta, l’afroitaliana Cécile Kyenge: «Quei clandestini che il ministro dice di voler regolarizzare ammazzano la gente a picconate», dice il capo dei leghisti milanesi Matteo Salvini. Proprio così, dice. “Quei clandestini”, proprio quelli “che il ministro dice”, ammazzano la gente a picconate.
È una volgarità e una scempiaggine, come tutte le attribuzioni di colpa che esulano non solo dalle responsabilità personali (comprese quelle politiche), ma anche dai più elementari nessi di causa ed effetto: non tutti i clandestini sono assassini; non tutti gli assassini sono clandestini; il ministro Kyenge non ha mai dichiarato, in nessuna sede, che intende “regolarizzare” tutti i clandestini né tutti gli stranieri, men che meno quelli assassini e pazzi; tutt’altro è il dibattito che verte sul riconoscimento della cittadinanza ai figli di stranieri nati qui e qui residenti in modo continuativo, eccetera eccetera eccetera.
Ma non è questo il punto, ovviamente. Non interessano, là dove attecchisce la pianta della paura dello straniero e dove la si mette a frutto, né gli argomenti né le discussioni. Il punto è che Cécile Kyenge è un’italiana nera; peggio, è un’italiana nera diventata ministro. E come dimostrano le orribili scritte murali di questi giorni, e le infinite lordure razziste, segregazioniste, naziste consegnate al web, è considerata un affronto da vendicare o una bizzarria della quale ridere; donna, nera e ministro è uno scandalo intollerabile, come mostrare il nudo a un bacchettone, o la croce al vampiro. E si scatena la canea. Nella più affettuosa delle ipotesi la scelta di nominare ministro una donna nera viene dileggiata da polemisti di destra come “buonista”, una delle parole più stupide e di conseguenza più fortunate impresse (da polemisti di destra) nel vocabolario politico-mediatico nazionale; così stupida che, per esempio, trascura di riflettere sul fatto che una signora che da molti anni lavora sull’integrazione magari ha qualche attitudine o conoscenza in più (rispetto, per esempio, a Matteo Salvini) per fare, appunto, il ministro dell’integrazione.
Se poi un ministro di origine congolese (Africa centrale) si insedia poco prima che un clandestino di nazionalità ghanese (Africa occidentale) impazzisca e uccida, alla paranoia etnica che soprattutto nel Nord Italia sta vivendo una lunga e fortunata stagione non pare vero di poter sommare “negro” con “negro”. Come se un belga e un greco, un tedesco e un portoghese fossero, in quanto “bianchi”, la stessa cosa e magari la stessa malerba da estirpare. Nella geografia per sentito dire, le migliaia di chilometri di distanza diventano pochi palmi, nel mazzo generico e detestabile dell’invasore straniero i neri sono solo un mucchietto indistinto.
Ne sentiremo purtroppo delle brutte, nelle prossime ore, nei prossimi giorni e mesi. La paura dello straniero, specie sotto crisi economica, è un bacino inesauribile per chi fa politica. La Lega governa ancora la Lombardia e ha governato, per molti anni, il Paese: ma la retorica sulla “responsabilità di governo” non regge il confronto, a conti fatti, con l’irresistibile istinto originario, il richiamo della foresta. Ormai albanesi e rumeni, che a turno si videro attribuire il primato della pericolosità sociale, sono in buona parte integrati o ritornati nei loro paesi, che hanno economie in ascesa. I lavavetri polacchi, che parevano orde inarrestabili, sono appena un ricordo: rincasati anche loro, per migliore fortuna. Una ministra nera, che trama per aprire le porte di casa nostra ad altri neri armati di piccone, è una eccellente new entry nel campo della speculazione xenofoba. Chissà se Cécile Kyenge, quando ha accettato il suo incarico, ha messo nel conto l’odio che avrebbe catalizzato, così immeritatamente, così assurdamente eppure così prevedibilmente.
La Repubblica 12.05.13