L’elezione di Guglielmo Epifani a segretario offre l’opportunità di runa ri-progettazione del PD. Di una ripartenza dopo il collasso. Di un confronto aperto sul futuro dopo le dra matiche divisioni e le rivolte nella base. È una chance, ma nulla è scontato in questa crisi italiana che mescola la sofferenza sociale con la paralisi del sistema politico. Epifani ha detto ieri giustamente che il declino economico porta sempre con sé una crisi anche morale. Per questo ha chiesto al Pd, da subito, di prepararsi a un congresso serio – fatto di idee e non solo di nomi – e al tempo stesso di assumere una responsabilità nei confronti del governo Letta.
Sui temi concreti, sulla priorità del lavoro, sulle emergenze sociali, sulla scuola e la cultura, il Pd può e deve dire la sua. Deve incalzare l’esecutivo, dargli energia, trascinare le soluzioni. Sarà la cartina al tornasole del suo radicamento negli interessi e nei conflitti: condizione di esistenza in vita e di un legame con gli ideali e le passioni che animano il suo popolo. Non serve a nulla la retorica della «pacificazione», tanto meno nel giorno in cui Berlusconi convoca la piazza contro un potere dello Stato, la magistratura, consapevole di contribuire in questo modo alla delegittimazione dell’intero sistema. Il governo di Grande coalizione è invece un terreno nuovo di competizione politica tra destra e sinistra, che deve produrre i progetti alternativi di domani ma anche riparare gli strappi istituzionali della seconda Repubblica. Senza una nuova legge elettorale non si può tornare al voto. E sarebbe una follia per l’Italia fare le elezioni senza aver rafforzato (con correttivi costituzionali) quel sistema parlamentare, che la saggezza dei padri costituenti ci ha consegnato. È in questo passaggio stretto che la sinistra deve ripensare se stessa, radicare un partito nuovo, presentare all’Italia e all’Europa un progetto che porti lavoro e crescita sostenibile. Per meno di questo, la sinistra rischia di non essere utile al Paese e di perdere se stessa. Invece l’Italia ha bisogno di una sinistra nazionale ed europea: perché è oggi la sola che può svolgere quel ruolo di cerniera in una società lacerata e sfiduciata. Ma di fronte a noi c’è, appunto, il Berlusconi centauro. Per metà responsabile, per metà eversore. Un giorno veste i panni da statista, l’altro giorno esprime violenza istituzionale. La manifestazione di ieri a Brescia è stata inquietante per molti aspetti. Un vicepremier (e ministro dell’Interno) che marcia contro il potere giudiziario è una scena incompatibile con la civiltà politica di un Paese occidentale. Non meno di quella di un ex premier che incita il suo popolo contro una sentenza e contro il giudice naturale. A queste aberrazioni si è sommata anche l’aggressione violenta in strada contro alcuni manifestanti: la violenza è sempre ingiustificabile e, purtroppo, di questi tempi si sta pericolosamente alzando la soglia della tolleranza. Le parole rischiano di trasformarsi in pietre. E Berlusconi per un verso, Grillo per un altro, rischiano di trasformarsi in stregoni.
Tutto ciò rende più arduo il compito del Pd. La tenaglia Berlusconi-Grillo ha già funzionato in questo breve scorcio di legislatura ai danni della sinistra. Il punto è che il Pd non può ridursi solo a uno spazio di interposizione, ad una mera difesa dell’esistente. Il Pd è un partito oggi debole. Sradicato in molte parti del Paese. E percorso da una forte domanda di cambiamento, senza corrispondere alla quale tutta l’impresa rischia di finire nel nulla. Non basterà certo alla sinistra italiana immaginarsi come un nuovo centro. Non basterà la politologia a surrogare la società. L’impresa del Pd passa da un partito nuovo, battagliero, capace di rischiare le sue riforme: altrimenti la tenaglia lo stritolerà. E la pluralità interna lo disarticolerà.
Epifani ha detto che il Pd deve saper distinguere il coraggio necessario dall’incoscienza politica. Il governo è oggi guidato da un uomo del Pd e composto da diversi uomini di sinistra: non è il governo che volevamo, ma sarebbe un suicidio non rispondere attraverso il governo ai bisogni vitali dell’Italia che soffre e regalare a Berlusconi le buone cose che Letta, auspicabilmente, farà. L’impegno serio, senza riserve, è la prova di umiltà per il Pd che vuole ricostruire se stesso nel vivo dei conflitti sociali (e non in un luogo separato dalla società). Ma un governo non si fa ad ogni costo, e non sarà Berlusconi a stabilire il limite. Non abbiano paura Letta e il Pd a dire i sì e i no. A cominciare dal no senza tentennamenti alla vergognosa manifestazione di ieri a Brescia, e alla presenza in essa di ministri del Pdl. Questa è una battaglia politica decisiva, altro che inciucio. Anche Vendola ha manifestato a Roma, dicendo giustamente che «la sinistra non può morire di berlusconismo». Purtroppo si resta vittime di Berlusconi anche quando l’opposizione al Cavaliere sopravanza e oscura le priorità sociali e l’azione di governo per risolvere i problemi veri degli italiani. Il vero cambiamento parte da qui e non dall’ordine giudiziario. Stefano Rodotà ha fatto bene ad avvisare la piazza di Vendola: pensare di costruire una sinistra vincente nella divisione è un errore, o forse addirittura una maledizione. A sinistra c’è sempre qualcuno che pensa di sottrarsi alle responsabilità e di trarre così vantaggi marginali nei passaggi più difficili. Noi non abbiamo cambiato idea sul valore regressivo, anzi distruttivo, della teoria delle «due sinistre ».
L’Unità 12.05.13