Non sarà facile il compito di Guglielmo Epifani. Perché la crisi del Pd non è figlia soltanto di una congiuntura negativa, prodotta dall’insuccesso elettorale e dalla catena di errori e diserzioni conseguenti. Siamo nel pieno di un collasso del sistema politico. Anzi, siamo dentro una gravissima crisi democratica. E il Pd è diviso. Da un lato è attraversato da una fortissima domanda di cambiamento, tanto da rendere tangibile un legame tra la risposta a questa domanda e la sua stessa ragion d’essere.
Dall’altro è schiacciato in una tenaglia: il Parlamento senza maggioranza e l’austerità europea ancora da superare. Il rischio è che la paralisi raggiunga tutte le parti del corpo. E la tentazione di molti è di fuggire dalla responsabilità dell’oggi. Di immaginare uno spazio in cui progettare il Pd di domani, mettendo tra parentesi le laceranti contraddizioni di questo passaggio. Ma ciò è impossibile. Non si può costruire il domani migliore senza passare da questo tempo difficile, soprattutto senza tentare di dare subito risposte alle sofferenze sociali, senza prendere di petto le emergenze economiche, senza affermare finalmente la priorità del lavoro. Il lavoro in testa ad ogni politica di governo. Il lavoro come condizione di sviluppo e di equità. Il Pd non può andare all’opposizione di se stesso, perché ha troppe responsabilità verso il Paese. Tutte le principale cariche istituzionali sono affidate a uomini della sinistra, il governo è guidato da un premier della sinistra, la maggioranza dei ministri è di sinistra, la maggioranza assoluta della Camera è di sinistra, i governatori di più della metà delle Regioni italiane e i sindaci di quasi tutte le grandi città sono di sinistra. Il Pd resta, nonostante i suoi gravi difetti e i suoi limiti (anche di consenso), la cerniera principale del Paese e del sistema politico. La sua centralità è ragione, per molti aspetti, di affanno e di logoramento: lo è soprattutto quando il cambiamento diventa impraticabile e la spirale dell’impotenza, della vuota litigiosità tra persone avvolge ogni cosa. Non è vero che Berlusconi e Grillo hanno rubato il ruolo al Pd: è vero invece che un Pd smarrito e senza rotta regala a Berlusconi e Grillo un protagonismo e un potere che altrimenti neppure si sognerebbero. Il Cavaliere non è più in grado di guidare l’Italia, né di regalare sogni ad un blocco sociale vincente. Le sue balle sull’Imu vengono ridicolizzate anche dal presidente di Confindustria. Solo la rinuncia del Pd alle proprie responsabilità può esaltare il potere di condizionamento di una destra a corto di idee. Dall’Assemblea nazionale di oggi parte una nuova sfida. Il governo proposto dal Pd agli elettori non ha ricevuto il consenso sufficiente. L’ipotesi di un esecutivo di minoranza è stata demolita prima dal patto Berlusconi-Grillo, poi dallo scellerato affossamento delle candidature di Marini e Prodi da parte dello stesso Pd. La via delle elezioni anticipate è sbarrata da una legge elettorale priva ormai della minima legittimità. La ri-progettazione del Pd non potrà che avvenire nel vivo di una battaglia, che passerà dal governo di Enrico Letta. Il governo Letta offre un’opportunità al Pd: di radicare il suo nuovo progetto per l’Italia nella battaglia concreta per rilanciare lo sviluppo e il lavoro. E di affrontare l’emergenza democratica: se il Pd venisse meno come progetto, il populismo alimentato dalla crisi sociale potrebbe insidiare le fondamenta stessa della democrazia rappresentativa. E non sarebbe certo una sinistra radicale e marginale a costituire un argine sufficiente a torsioni oligarchiche, o addirittura dispotiche.
Guglielmo Epifani è stato in questi anni uno dei più prestigiosi editorialisti de l’Unità. Ha scritto il suo ultimo articolo per noi proprio il giorno in cui Letta ha presentato il nuovo governo. «C’è una grande domanda di cambiamento, di equità e di solidarietà – ha scritto – a cui il Pd non può non dare risposta, pena l’offuscamento del suo ruolo e della sua funzione». «Il Pd dovrà presidiare il fronte sociale e lavorare da stimolo all’azione del governo. Anche perché dopo dovrà tornare una dialettica tra forze alternative, rese più mature da questa esperienza nel nuovo esecutivo, il cui risultato segnerà anche il giudizio sul Pd». Il tema non è mai stato una retorica «pacificazione». Il tema è come attraversare l’emergenza, usando il governo a servizio del Paese, per tentare di invertire la rotta di politiche depressive e aggredire finalmente le riforme istituzionali. Il tema, per la sinistra, è come tenere insieme l’impegno verso l’economia reale con una nuova idea di partito e di programma politico. Il tema per il Pd è vivere la grande coalizione come una modalità diversa della competizione politica, avendo ben presente l’interesse nazionale ma anche la libertà dal potere (nessun governo è comunque obbligatorio).
La velocità dei mutamenti è impressionante. Bisogna analizzare senza reticenze gli errori compiuti. E mettere in campo una nuova classe dirigente, senza recidere il filo che lega la storia nazionale e le culture riformatrici. L’augurio al Pd è che non separi la discussione sul partito – e il radicamento da riconquistare, a partire dai ceti popolari – dagli obiettivi concreti della sua battaglia sociale. Noi de l’Unità conosciamo bene il traghettarore Epifani per la sua esperienza, per la sua attenzione al tema del lavoro, per la sua apertura culturale. Ce ne sarà bisogno in un partito che vuole restare plurale, ma non vuole perdere efficacia diventando anarchico.
L’Unità 11.05.13