La Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna a Berlusconi per frode fiscale, compresa l’interdizione dai pubblici uffici. A questo punto è lecito sperare che l’iter giudiziario si completi prima della prescrizione, e che la Cassazione riesca a pronunciare la sentenza definitiva: se la condanna verrà confermata, il Cavaliere decadrà da parlamentare. Del resto, la frode fiscale è un reato grave, non compatibile con un ruolo pubblico. I giudici facciano il loro dovere. Nessuna persona seria tiferà per la condanna o per l’assoluzione. Si accerti in giudizio la verità, almeno quella che l’ordinamento consente.
E poi si rispetti la legge. Che deve valere per tutti. Non ci sono soluzioni ad personam compatibili con uno Stato di diritto. Non ci sono maggioranze che possano sostituirsi al giudice naturale. Non ci sono accordi politici che garantiscano salvacondotti. Dura lex sed lex.
Berlusconi dimostri qui il suo senso di responsabilità. Perché finora, di fronte al governo Letta, è sembrato più attento a curare le proprie convenienze tattiche e a tenersi aperte tutte le porte, compresa quella che conduce al voto anticipato. Si è candidato alla presidenza della Convenzione per le riforme, e poi ci ha spiegato che la Convenzione non serve a nulla. Ha minacciato di far cadere l’esecutivo senza l’abolizione completa dell’Imu, anzi la restituzione dell’Imu del 2012, ben sapendo che questa è impossibile e che nessun governo che abbia a cuore l’interesse del Paese può collocare i diktat berlusconiani davanti alla vera priorità, che è il lavoro. Ha voluto Nitto Palma alla presidenza della commissione Giustizia del Senato per piantare una bandierina e far crescere la tensione nel centrosinistra.
Abbiamo l’impressione che questo resterà il suo stile, almeno per questa fase. La sinistra, alle prese con la propria crisi, è portata oggi a sopravvalutare il Cavaliere. In realtà dovrebbe riacquistare fiducia in se stessa e anche quel senso delle istituzioni che talvolta smarrisce. Berlusconi non ha più la forza, né la qualità per guidare questo Paese. I numeri parlamentari consentono di tenere dritta la barra della legalità e della dignità istituzionale: non c’è più la maggioranza della «nipote di Mubarak» e non ci saranno ricatti di governo che possano indurre a derogare i principi costituzionali. Detto ciò, resta il fatto che la vittoria politica su Berlusconi va conquistata nel campo della politica e che il campo giudiziario non surrogherà mai un progetto carente verso il Paese.
L’Unità 09.05.13
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“Ma il Cavaliere non farà saltare il governo”, di MARCELLO SORGI
Attesa e in qualche modo scontata (l’avvocato-deputato Ghedini ci aveva pure scommesso su), la condanna in appello di Silvio Berlusconi nel processo per frode fiscale sui diritti cinematografici Mediaset appesantisce, certo, l’insieme delle pendenze giudiziarie del super-imputato leader del Popolo della Libert à. Ma non altrettanto, e non necessariamente, il quadro politico e il percorso del neonato governo delle larghe intese.
Da una settimana, infatti, il Cavaliere ha inaugurato un nuovo corso della sua condotta processuale.
La chiamata, al fianco dei suoi abituali legali impegnati anche in politica, del professor Franco Coppi, un professionista puro, legale di Andreotti nel «processo del secolo» per le accuse di mafia, dovrebbe preludere (ma con Berlusconi non si sa mai) a un maggior rispetto per i magistrati chiamati a giudicarlo e alla fine della commistione tra ruolo politico e condizione giudiziaria, che aveva portato, solo due mesi fa, il Pdl all’occupazione del Palazzo di Giustizia di Milano.
Berlusconi insomma non farà saltare il governo, come pure erano in molti a temere, in attesa della sentenza, nei corridoi di Montecitorio, e come lui stesso aveva minacciato martedì, dopo il doppio siluramento del suo candidato Francesco Nitto Palma alla presidenza della commissione giustizia del Senato. Ottenuta la quale, seppure con un giorno di ritardo, si metterà invece ad aspettare l’esito della Cassazione. Al proposito circolano una voce maliziosa e un dato di fatto. La prima è che la nomina, decisa con una spaccatura del Csm, al vertice della Suprema Corte, del dottor Giorgio Santacroce, magistrato che in passato era stato sentito, in relazione ai suoi rapporti con l’ex ministro berlusconiano Cesare Previti, dalla principale inquisitrice di Berlusconi Ilda Boccassini, non sarebbe affatto una cattiva notizia per il leader del centrodestra. E il secondo è che la Cassazione, prima di esaminare la sentenza d’appello, dovrà prendere atto di un altro giudizio della Corte costituzionale, che potrebbe concludersi a breve con l’annullamento parziale o totale del lavoro fatto fin qui dai giudici di Milano. Il complicato intreccio di competenze e interventi delle diverse magistrature porterebbe, o a rifare da capo interamente il processo, o almeno in secondo grado. E Berlusconi, in caso di nuova condanna, potrebbe ancora rivolgersi alla Cassazione, aspettando la scadenza dei termini di prescrizione il prossimo anno.
Questo spiega perché, malgrado la sentenza porti con sé anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che se confermata chiuderebbe d’imperio la carriera parlamentare, se non proprio quella politica, del Cavaliere, la reazione dello stato maggiore del centrodestra, salvo qualche acuto della Santanchè, è stata controllata. Niente manifestazioni, nessun tavolo è stato rovesciato. E i legali del Pdl, Ghedini in testa, hanno accolto il verdetto con rassegnazione.
Berlusconi, in altre parole, si sta innamorando del suo nuovo ruolo: è diventato l’azionista di riferimento del governo, non passa giorno che chieda e ottenga quel che vuole, ieri s’è concesso il lusso di cancellare, dichiarandola inutile, perfino la Convenzione per le riforme istituzionali. I ritardi e gli intoppi che inevitabilmente si presentano, di tanto in tanto, sulla strada del governo, li mette in conto al Pd. Un partito impallato nei propri guai, in difficoltà a scegliersi un segretario, dopo le dimissioni di Bersani, e diviso al contempo sull’atteggiamento da tenere nei confronti dell’esecutivo guidato dal proprio vicesegretario. Il Cavaliere assiste gongolando alle contorsioni dei suoi ex avversari, divenuti nuovi alleati. Ai quali, tra l’altro, se non vogliono essere loro a mettere nei guai Letta, adesso toccherà digerire anche la sua ultima condanna. A denti stretti, senza applausi né esultanza, al contrario di tutte le volte precedenti.
La stampa 09.05.13