attualità, partito democratico

«Pd usato come un taxi. Ma noi non ce ne andremo», di Marco Ventimiglia

Il posto è in un quartiere di Milano non troppo distante dal centro. Non facciamo in tempo a varcare la porta ed intravvedere una trentina di persone sedute intorno a un tavolo che una frase fende l’aria: «Io, comunque, non me ne voglio andare dal Pd». Siamo nel Circolo democratico di «Romana-Calvairate», dove va in scena una delle molte riunioni, post elezioni, post Quirinale, e adesso post governo, organizzate dal partito nella provincia milanese. Ma per fortuna il buongiorno non si vede dal mattino, anche se il cielo plumbeo e piovoso non aiuta a tirar su il morale. La frase, come capiremo ascoltando i successivi interventi, non è l’acme di qualche dolorosa seduta di autocoscienza, che peraltro deve esserci stata qui come altrove, quanto un modo per dire: «Nonostante tutto, guardiamo al futuro». E per affrontare settimane che si annunciano ancora molto difficili, più di un partecipante vuole mettere una cosa bene in chiaro: «Ci hanno diviso scandisce le parole Gianni fra ex comunisti ed ex democristiani, fra giovani e vecchi, fra la corrente di D’Alema e quella di Renzi, e chi più ne ha più ne metta. Io non solo non mi riconosco in tutto ciò, ma soprattutto non ho intenzione di vivere i giorni che ci porteranno al Congresso in questo modo. Qui non ci siamo mai divisi guardando alle nostre esperienze passate, piuttosto bisogna continuare a confrontarci sul futuro del Partito democratico, specie in un momento così difficile».
PAROLE CHIAVE
Centouno, taxi e Congresso: sono le parole, non tutte prevedibili, che sintetizzano i temi della discussione. Un confronto, che al di là della sostanza verbale, colpisce per la compostezza degli interventi effettuati da donne e uomini per lo più nella fascia degli “anta”, anche se non manca qualche volto più giovane. L’impressione è che, appunto, dopo gli shock a ripetizione del recente passato, si cerchi adesso una qualche strada che consenta ai democratici di tornare a camminare nella stessa direzione. E anche l’evocazione di quel numero, 101 come i presunti franchi tiratori che hanno affossato la candidatura di Prodi al Colle, non è un modo per chiedere maxi epurazioni. «Io volevo e voglio sapere i nomi dei nostri parlamentari che non hanno votato per Prodi dice Corrado -. Non è per consumare chissà quali vendette, ma perché ho bisogno di capire. Se non so chi sono e che cosa hanno in testa queste persone, come posso fare affidamento sui vertici del partito nei prossimi mesi?».
Il taxi, perché il taxi? Perché trattasi di veicolo che più d’uno ritiene usato per salire e scendere dal partito a seconda dei tornaconti personali. Ragionamenti esplosi in tanti Circoli di fronte all’implosione del Pd nelle votazioni per il Quirinale. «Non vorrei che anche noi ragiona Claudio si sia stati permeati da vent’anni di berlusconismo, da un protagonismo fine a stesso supportato dai media di turno. Questo mi preoccupa anche in vista del Congresso. Barca, Cuperlo, adesso Civati: stiamo consumando nomi di presunti nuovi leader sulla base di un’intervista pubblicata su un giornale, piuttosto che di una comparsata televisiva. Per non parlare delle esternazioni sui social network…». Anche per questo, aggiunge Giuseppe, «da parte di chi si candiderà alla segreteria non mi aspetto tanto delle spiegazioni sul deludente risultato elettorale o su quello che è accaduto dopo il voto, quanto l’esposizione di un programma convincente, capace di rispondere alla crisi e di mostrare una visione dei prossimi vent’anni di questo Paese».
Quanto al Congresso, non ci si interroga solo sul quando ma anche sul come. «Mi chiedo dice Doris se non sia il caso di svolgerlo per tesi, con temi individuati dalla base del partito e poi selezionati e affinati sulla strada dei vari Congressi provinciali e regionali». E il nuovo governo? Per quanto possa sembrar strano se ne parla poco, per lo più con una sorta di rassegnata presa d’atto. Sentite il giovane Marco: «A chi mi ha detto che almeno alla mia età bisogna saper sognare ho risposto che poi bisogna pur sempre fare i conti con la realtà. E la realtà ci dice che non ci sono alternative a questo esecutivo». Infine, a fare uno sforzo di sintesi c’è Bruno, consigliere provinciale: «L’importante, adesso, è affrontare la strada per il Congresso con spirito costruttivo. Per andare avanti servono e serviranno delle mediazioni. Pensare che per guidare il Paese basti un grande partito di sinistra è pura illusione ».

l’Unità 06.05.13

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“Ora dirigano il Pd i giovani che occupano le sedi”, di Emanuele Del Giudice
Sono il segretario del circolo Pd di Stoccolma. Gli eventi che hanno visto protagonista il Partito democratico in queste ultime settimane hanno messo seriamente in discussione l’esistenza stessa del nostro circolo: l’adesione al partito non può essere pretesa come scelta acritica, scontata e data una volta per tutte. La gestione di questi mesi, già durante la fase elettorale, con una campagna timidissima e povera di contenuti forti ed innovativi («un po’ più di lavoro», «un po’ più di equità» sono slogan con i quali si sceglie in partenza di «non-vincere»), e soprattutto quella miserrima dell’elezione del presidente della Repubblica, il cui unico filo conduttore involontario è stato la ricerca di una Caporetto, ha portato molti all’esasperazione.
Le scelte della dirigenza ci hanno condotto, attraverso la ricerca di un accordo con la peggiore destra (dopo aver fino ad allora negato la volontà di patti politici con la stessa), alla candidatura di una figura come Marini che permettetemi di dirlo con chiarezza considero non adeguata a quel ruolo istituzionale così delicato e centrale per il funzionamento della Repubblica: una candidatura che impallidisce al confronto con la statura politica ed intellettuale di personalità come Napolitano e Rodotà.
Dopo questo primo suicidio politico si è candidato Prodi, per pugnalarlo per l’ennesima volta alle spalle (e con lui i nostri elettori); d’altronde incoronare leader per farli fuori è una «nostra» vecchia abilità che fa il paio con quella di rivendicare in maniera sfacciata, appena qualche giorno prima, la necessità di superare il «complesso dell’inciucio», asserendo che l’unico ostacolo al tanto desiderato accordo di governo con la destra era costituito da Berlusconi, come se quella italiana non fosse la sua destra.
Fatto fuori anche il fondatore del nostro partito nonché cosa di grande valore simbolico l’unico che fosse riuscito a sconfiggere il Cavaliere sul piano elettorale, ci siamo inginocchiati ai piedi di Napolitano non sapendo più che pesci prendere e rassegnandoci ad un accordo politico con Berlusconi, consegnando a quest’ultimo per l’ennesima volta la parte del protagonista: qualche mese fa era politicamente finito e ci siamo invece adoperati per farlo tornare in gara più forte di prima, come quei maratoneti o ciclisti sportivi che aspettano l’avversario in difficoltà passandogli l’acqua.
Il governo Letta non è che l’ovvia e inevitabile conseguenza dei fallimenti sopra elencati; la destra lo terrà in vita fin quando converrà, per poi staccare la spina al momento più propizio, come è stato fatto con Monti. E intanto veste i panni di chi vuole abbassare le tasse ad ogni costo, lasciando alla sinistra il ruolo impopolare di dire no o ni.
Ho sentito dire che la vera colpa di tutto quello che è accaduto è stata di Grillo, come se ci fossimo dovuti aspettare un aiuto da lui, al quale invece abbiamo consegnato il più facile dei rigori per le prossime elezioni: un governo Pd-Pdl. Ho sentito dire che il M5S è in calo, perché in Friuli ha vinto il Pd, quando in realtà in Friuli ha vinto la Serracchiani.
Ho sentito dire che le tessere del Pd le hanno bruciate dei figuranti e che nei circoli ci sarebbero file di aspiranti nuovi iscritti. Saremo forse in controtendenza solo qui a Stoccolma allora, dove tutti quelli che hanno deciso di lasciare il partito, hanno votato Pd da sempre e fondato il nostro circolo; alle primarie c’è chi ha votato Bersani, chi Renzi, chi Vendola, chi Puppato, ma la rabbia e la vergogna è stata trasversale. In molti sono giunti alla constatazione che il nostro partito ha abdicato alla funzione di interprete primario del necessario rinnovamento politico e sociale del Paese e che la sua stessa classe dirigente sia l’ostacolo principale al cambiamento (del partito e quindi del Paese), perché tale cambiamento comporterebbe inevitabilmente la sua scomparsa (o meglio la presupporebbe).
La base ha dimostrato di essere di gran lunga più lungimirante e proiettata in avanti rispetto alla dirigenza del partito. Il ragionare dei militanti non può essere oggetto di delega. E soprattutto: la base ha superato da anni la divisione tra ex-cattolici ed ex-comunisti, una distinzione che sopravvive ormai solo in chi guida il partito, ancorato a schemi del Novecento.
Il partito va rifondato dal basso, i giovani hanno occupato tante sedi: è ora che si prendano la direzione nazionale. Il Pd ai giovani!

L’Unità 06.05.13

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“Pd, pressing per il segretario subito”, di M. Ze.

A cinque giorni dall’assemblea nazionale il Pd è ancora diviso sul dopo-Bersani. Lo scontro è sul ruolo del nuovo leader (reggente o segretario) e sulle modifiche allo statuto che prevede la coincidenza di leader e candidato premier. Ma dalle città i segretari provinciali e regionali spingono per fare in fretta: ci vuole subito un leader a tutti gli effetti, il Pd deve ripartire.
Nessun candidato ufficiale e posizioni ancora divergenti: è questo il quadro che ancora ieri, domenica, si delineava rispetto all’elezione del prossimo segretario mentre dai territori e dalle segreterie regionali arriva la richiesta di una decisione forte e chiara già sabato prossimo. Già, perché adesso, nel partito si è aperto un altro fronte di discussione che tiene banco: se sia il caso di concentrare l’Assemblea nazionale di sabato prossimo sullo statuto e le relative modifiche, e rinviare l’elezione del successore di Pier Luigi Bersani di quindici giorni.
Il rischio sotto gli occhi di tutti è che si arrivi all’appuntamento spaccati, con un elezione a maggioranza e non unanime: un segnale che il Pd non può permettersi di inviare ad una base già in subbuglio per l’accordo di governo siglato con il Pdl e le fibrillazioni che si creano ogni giorno tra i due schieramenti politici. Per questo mercoled ì sera è stato convocato a Roma il coordinamento allargato a tutti i segretari regionali: si dovrà trovare una soluzione che tenga insieme il partito da qui al congresso d’autunno e dotarlo di una guida con pieni poteri che sia in grado di rimettere insieme i pezzi. A spingere per uscire dall’incontro con un nome condiviso ci sono, tra gli altri, Andrea Manciulli, segretario toscano e l’emiliano Stefano Bonaccini, come d’altra parte Nicola Zingaretti, Catiuscia Marini e il segretario bolognese Raffaele Donini.
Uno dei temi su cui il Pd rischia di spaccarsi è anche quello della modifica dello statuto in due punti: la coincidenza tra la leadership e la premiership e di conseguenza la modalità di elezione del segretario (solo tra gli iscritti o con primarie). Tra i molti sostenitori del segretario candidato premier ci sono Walter Veltroni e Paolo Gentiloni (tra i pochi parlamentari a schierarsi con Matteo Renzi alle primarie) convinti che questo sia l’unico modo per garantire coerenza tra la linea politica del partito e quella del governo, mentre tra chi ritiene che sia necessaria una modifica ci sono, tra gli altri, Gianni Cuperlo (che si è detto disponibile per la guida del partito fino al congresso) e Beppe Fioroni. Per Rosy Bindi, che è sempre stata contraria alla norma originaria dello statuto, «se ne può discutere ma stavolta voglio sapere chi fa la proposta e con quali motivazioni, altrimenti sa di scambio».
L’UOMO GUIDA
Chi dovrebbe essere l’uomo guida? Bella domanda. Il nome più forte in questo momento sembra quello di Gianni Cuperlo, ex dalemiano, rappresenterebbe quel ricambio generazionale che larga parte del partito chiede. Su di lui sembrano convergere, oltre a D’Alema, i Giovani turchi, molti segretari regionali e amministratori locali, lo stesso Beppe Fioroni. Resistenze dai veltroniani, a cui, come ha spiegato Walter Verini, non piace l’idea «che si debba dare a un ex ds la segreteria del partito per bilanciare Enrico Letta al governo ». Veltroni, che sente quasi quotidianamente il sindaco fiorentino, pensa ad una figura autorevole in grado di rappresentare tutto il partito, senza “ex” davanti, e chiede che si tenga conto di personalità come Pierluigi Castagnetti e Sergio Chiamparino, anche se è improbabile che l’ex sindaco di Torino accetti un incarico a termine.
Critico anche Gentiloni: «Non parlo dei nomi, soprattutto se si tratta di stimati dirigenti. Parlo del metodo spiega l’ex ministro del governo Prodi perché se noi sabato prossimo non partiamo dalle ragioni che ci hanno portato alla sconfitta elettorale, tanto più grave quanto più inaspettata, non adiamo da nessuna parte. Non abbiamo risolto con le dimissioni di Bersani, è la rotta che deve cambiare, non può esserci continuità con il passato, si deve dare un profilo politico al partito». E quel profilo per Gentiloni non può andare nella direzione opposta alla prospettiva del Pd che «è Matteo Renzi». Dunque non si può non tener conto, nell’elezione del segretario, che il futuro candidato premier è il sindaco di Firenze. Una delle ipotesi a cui si ragiona è la vicesegreteria a Matteo Richetti, neo-deputato renziano, anche se Renzi ufficialmente dice di non avere preclusioni sui nomi ma la linea della componente verrà decisa nelle prossime ore.
L’altro nome per la segretaria è quello di Gugliemo Epifani, ex segretario Cgil, soluzione che convince di più bersaniani. Areadem non ha ancora deciso, si riunirà probabilmente oggi. Bindi, presidente dimissionaria, dal canto suo ha una posizione diversa: «Siamo un partito in grande sofferenza c’è bisogno di ripristinare il metodo della collegialità, abbandonato nell’ultimo anno. C’è bisogno di una figura che rappresenti tutto il partito, ci metta attorno ad un tavolo per creare le condizioni per arrivare al congresso e alle eventuali modifiche statutarie». Una delle condizioni, secondo Bindi, è che il segretario che uscirà dall’Assemblea di sabato non si ricandidi al congresso. Di sicuro, entro mercoledì tutte le anime del partito prenderanno una decisione in vista dell’incontro previsto per la sera.
E intanto in vista del congresso il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, neo sottosegretario, dalla sua pagina Facebook lancia il suo «manifesto» in cinque punti (ripartire dai territori, un programma chiaro, smantellare correnti e correntismo, dare un’anima al Pd e cambiare tutto). «C’è bisogno, anche per noi scrive più di ritrovare i valori fondamentali, che di coltivare logiche curiali. Non ci salveremo se non offriremo al Paese e se non avvieremo nei fatti una svolta profonda: nel programma, nel linguaggio, nell’organizzazione, nello stile. Dobbiamo liberarci della nostra “presunzione di superiorità”».

L’Unità 06.05.13