«La nostra priorità è il Sud», dice subito, senza tanti giri di parole, Maria Chiara Carrozza appena insediatasi sulla poltrona più alta del ministero dell’Istruzione e Ricerca scientifica che pesa le parole ma chiarisce come occorre ridare speranza agli insegnanti precari: «Un problema enorme. Ma chi ha tenuto in piedi per anni la formazione non può essere buttato via».
Ministro domani sarà a Napoli. A Città della Scienza e nella scuola media di Forcella per iniziare un tour. «Giusto partire da Napoli, un luogo simbolico del Mezzogiorno su cui occorre un’attenzione particolare. A cominciare da Città della Scienza dopo tutto quello che è avvenuto: il mio obiettivo è fare di tutto affinché ci sia una ripartenza della attività ma in questo momento occorre, soprattutto, la mia vicinanza e quella del governo alla comunità scientifica-accademica di Napoli. Questa visita è un modo simbolico per ricominciare a parlare di progetti concreti».
Poi a Forcella, un quartiere disagiato di Napoli, come però ve ne sono diversi al Sud. «Ne sono consapevole. Voglio essere presente, parlare con i docenti, con gli alunni e capire cosa c’è che non va. A Napoli, poi a Bari a Palermo e, via via, risalire verso Nord per visitare le realtà di tutto il Paese: occorre una ricognizione di quello che tutti gli esponenti pensano dello stato attuale dell’università e di quello che c’è da fare. Alla fine del percorso di incontri definiremo le priorità in accordo con il Governo. Ma la mia priorità è il Sud del Paese». Consapevole del gap enorme, dal punto di vista dell’istruzione, che esiste tra le due aree del Paese? «Intanto preferisco vedere i dati e studiarli: preferisco non parlare per luoghi comuni altrimenti sono tutti discorsi che non servono a nulla».
La riforma Gelmini non è stata da tutti digerita. «Già detto che la riforma del mio predecessore ha alcuni punti che probabilmente necessitano di un cambiamento. Ma vediamo: non è questa la mia priorità ora». Di certo la scuola sembra andare verso un sistema di. alutazione, vedi Invalsi, di tipo statistico. Troppo, forse. Lei asseconderà o intende frenare? «Sicuramente occorre fare una riflessione: è sempre importante una valutazione ed io l’ho sempre fatto da rettore e da professore ma non ci si può abbandonare solo ai numeri. Qualche giorno fa Giorgio Israel, in una lettera pubblica, spiega che sia meglio non rimuovere questo sistema ma operare una riflessione. Ecco, ho avuto l’impressione, che la scuola sia divisa su questo punto».
Anche sul voto alla maturità che da ora avrà un peso determinante sui punteggi per accedere alle università a numero chiuso. Con il paradosso che potrebbe essere privilegiato chi ha studiato in un diplomificio… «Sono contraria, da docente, a dare un voto sulla base di un altro conseguito in un’altra scuola. Il voto della maturità può essere utilizzato per i test universitari ma in minima parte. Io personalmente in questo caso non lo utilizzerei ma, tendenzialmente, se deve avere un peso che lo abbia in maniera limitata. Perché al di là dei voti noi abbiamo il dovere di dare ai giovani la possibilità di migliorarsi, non sbarrargli la strada».
Al palo è l’Agenda digitale. Qualcuno sostiene che la rincorsa verso l’elettronica può essere dannosa per la scuola. Senza contare che il Mezzogiorno ha un digital divide più accentuato. «Occorre non abbandonare l’agenda digitale. La scuola, ma anche la ricerca sono temi trasversali che uniscono il Paese. C’é un’ampia convergenza sul fatto che ricerca e innovazione siano fondamentali per il futuro dell’Italia e non bisogna averne paura perché il mondo, e quindi la scuola, vanno verso una complessità. Ma questo deve essere uno strumento pi ù ampio per portare a tutti internet e, quindi, servizi della pubblica amministrazione. Senza correre il rischio che qualcuno sia marginalizzato a causa della mancata copertura del territorio di internet. La digitalizzazione dei servizi puo’ rendere tutto piu’ trasparente e fruibile. Per abbattere costi e rispettare i diritti dei cittadini serve una struttura tecnologica adeguata. E solo così si potrà superare il gap tra le due parti del Paese».
L’ultimo concorso, ancora in fieri, arriva dopo 13 anni. E non assorbirà tutti i precari. Il suo sottosegretario Rossi-Doria propende per una precedenza ma così si rischia di sbarrare un giovane che vuole insegnare.. «Quello dei precari è un problema enorme. Per anni hanno tenuto sulle loro spalle la scuola senza avere alcuna certezza sul proprio futuro. Ora non possiamo abbandonarli, abbiamo un dovere morale verso di loro ma è chiaro che deve esserci un bilanciamento anche per i giovani. Il punto fondamentale è lo stesso: ci sono pochi ingressi nel mondo della scuola e dell’università e la priorità è affrontare questo problema. Una ricerca della Federico II è impietosa: meno del 30 per cento dei laureati lavora al Sud. Si spendono ingenti risorse per la formazione ma poi si fugge: cosa si può fare? «Occorre farlo, anzitutto. E concordo che dobbiamo investire su questo, per aumentare l’attrattività e le occasioni di lavoro ma purtroppo occorrono investimenti enormi. L’obiettivo c’è, il mio lavoro andrà in questo senso per cominciare ad invertire la tendenza ma non garantisco la rivoluzione».
Magari anche colpa dei concorsi vinti dai soliti noti: da qui l’Anvur che ora prevede criteri bíbliometrici. Sono da cambiare? «Anche qui si è fatto un lavoro enorme per un sistema con punti di forza e debolezza che non si può liquidare su due piedi. Di certo, e l’ho già detto, occorre dire basta con le regole assurde: introdurre troppi livelli significa deresponsabilizzare chi sceglie».
Servono risorse ma l’Italia è il Paese che per la ricerca investe di meno, in rapporto al pil, rispetto al resto d’Europa. S’invertirà la rotta? «Il mio obiettivo è aumentare le risorse. Di più non si può tagliare» “Il nostro sistema accademico è destinato al collasso”: parole sue del settembre 2010. Da ministro cosa ha trovato? «Un mondo molto vivo che ha voglia di ripartire. E deve ripartire».
Il Mattino 06.05.13