Le vittime del disagio sociale non sparano mai ai carabinieri e neppure ai politici ma, proprio come ai tempi di Roberto Rossellini rubavano biciclette, oggi rubano il latte in polvere e due polli al supermercato. Così ha fatto un senegalese incensurato.
Senegalese incensurato che un giudice di Monza ha condannato a nove mesi e a una multa di 400 euro, contro un valore complessivo della merce rubata di 28 euro. Ebbene, l’apostolo degli “ultimi” in Italia non è questo senegalese, ma il criminale Luigi Preiti, il balordo disturbato di piazza Montecitorio, un “taxi driver” all’italiana spacciato per eroe della disperazione sociale, e non solo da quell’indegno striscione innalzato a Torino durante la manifestazione del primo maggio. Attenzione: lo striscione non era issato da provocatori professionisti, ma da poveri ragazzi appassionati, loro sì vittime ingenue, succubi di un luogo comune sociologico che ci sta purtroppo avvelenando tutti.
Preiti, che non sarebbe entrato neppure nella galleria degli emarginati di Jannacci, dei Cerutti Gino di Gaber e dei malandrini dei vecchi moli di De André, sta dunque diventando il Che Guevara dell’estremismo senza più l’orizzonte dell’emancipazione sociale. E passi per i soliti mestatori che inneggiano al fucile redentore e aggiornano la vecchia tiritera augurandosi oggi «dieci, cento, mille Preiti» così come ieri si auguravano «dieci, cento mille Nassiriya». Ma non si può guardare un corteo del primo maggio e scoprirvi una ragazza con la faccia pulita, una delle nostre figlie, che espone la foto di Preiti, con la sua pistola abrasa e la sua stecca di biliardo in mano, come noi esponevamo le foto di Marx e di don Milani. Ed è nata in Rete una “Associazione amici di Preiti”, che raccoglie i soldi per pagare le spese non ai carabinieri feriti ma allo sparatore che sarebbe vittima della società cattiva. E non si tratta qui soltanto di quella schiuma che sempre si accompagna alla popolarità dei criminali: in Italia ci sono i fans di Maso e di Vallanzasca, gli innamorati di Amanda e i social club intitolati allo zio Misseri. Preiti è molto di più. Sta diventando il povero criminale che ha sostituito, grazie a una sociologia d’accatto,
nientemeno i banditi di Hobsbawm, i pirati, i briganti, gli indiani come gruppi sociali subalterni e dunque rivoluzionari.
Fin quando l’invocazione ai Preiti armati viene dal professor Becchi, e per giunta durante la trasmissione la Zanzara che birbantemente queste sparate stimola e raccoglie, è solo la banalità di un estremista al quale si può anche non dar peso. Invece di fornire veste accademica e un codice di civiltà al pensiero di Grillo questo docente lo radicalizza e lo rilancia con strampalerie sempre più paradossali. Ma Becchi, che ieri sera si esibiva da Santoro, è solo un bislacco dannoso, uno dei tanti che scatenano il linguaggio. Non ha certo la profondità del ribelle. Spiace invece che per laureare Preiti come un Francis Drake dell’Italia di Enrico Letta sia stato usato anche il codice nobile e autorevole di una certa sinistra, incline appunto al riflesso condizionato della sociologia, sino all’infortunio, alla gaffe prontamente corretta di Laura Boldrini che infelicemente a Portella della Ginestra ha celebrato il primo maggio raccontando appunto Preiti come «la vittima che l’emergenza lavoro ha trasformato in carnefice». Non esiste neppure come ipotesi il povero Cristo che scende dal crocifisso per mettersi a crocifiggere il primo carabiniere che incontra.
Ma il povero ha il diritto di rubare? In Italia si moltiplicano i casi di furtarelli perdonati, di ladri assunti dal derubato come è accaduto in Veneto, c’è persino la vecchietta di Mesagne che a 83 anni ha invitato a cena il ladro che si era intrufolato in casa sua ed è tornata poi a dormire come se nulla fosse accaduto. «Credo che chi è nel bisogno ha il diritto di rubare » ha sostenuto monsignor Pisolato direttore della Caritas diocesana di Venezia intervistato da Gad Lerner. E suor Giuliana Galli, vicepresidente della Fondazione Bancaria Compagnia di San Paolo: «Se una persona ha fame e non ha la possibilità di procurarsi cibo è un suo diritto rubare là dove ce n’è tanto».
Questo è sicuramente un dibattito di sinistra, sintomo di una fisiologia sana. Leggere invece sui muri di Verona «siamo tutti Preiti» è come leggere nella curva sud dello stadio «odio tutti», «voglio essere orfano» «forza Vesuvio». Sono slogan panici e bui, sentimenti degradati in risentimenti, rancori senza più speranza. E forse non è un eroe neppure quel nostro povero senegalese che voleva allattare il suo bimbo anche se moltissimi di noi, al posto del direttore del supermercato di Monza non solo non lo avremmo denunziato ma gli avremmo fornito latte gratis sino alla fine dello svezzamento. Di sicuro è un bene che il dibattito coinvolga anche la magistratura. Il giudice di Monza che ha condannato il nostro senegalese a nove mesi ha infatti applicato il codice. Ma ci può essere giustizia senza quell’umanità compassionevole che lo stesso codice prevede? Il giudice del tribunale di Arezzo Giampaolo Mantellassi per esempio non punisce chi commette un reato se costretto dallo stato di necessità. «Precisiamo — ha spiegato al quotidiano Il Tirreno—: ho assolto persone che avevano rubato per fame. Il codice penale riconosce la differenza tra un furto commesso con dolo e uno commesso per necessità e io applico questa differenza». Ma ha ancora un senso giuridico il cardinale Borromeo nelle vesti di giudice?
Ecco dove porta il dibattito pulito, severo e sereno. Preiti eroe non c’entra, è una mistificazione dettata da una malattia ideologica, da sociologismo infettivo. Tra le facce di Pelizza da Volpedo non ci sono infatti i ceffi alla Preiti, predisposti alla dissipazione del videopoker e del biliardo. La sua è la stessa antropologia dei Vantaggiato, quello che ha messo la bomba nella scuola di Brindisi e ieri ha pianto davanti ai suoi giudici dicendo tra i singhiozzi: «volevo colpire le banche». Proprio come Preiti che voleva, ha detto, «colpire i politici». Quello ha ucciso una ragazzina e questo lascia inchiodato su una sedia a rotelle un carabiniere. Ecco il famoso disagio sociale.
La Repubblica 03.05.13