Se c’è spazio per ridurre le tasse, prima tocchi a quelle sul lavoro. Bastava forse il buon senso ad arrivarci, ora ce lo raccomanda l’Ocse con corredo di analisi economiche. Perfino il nuovo Papa parla molto di lavoro. Invece la politica italiana rischia di portarci altrove. Se il lavoro manca, è anche perché le nostre imprese spendono molto per impiegare dipendenti ai quali in tasca arriva poco.
L’Ocse ci avverte che lo svantaggio rispetto agli altri Paesi è maggiore proprio per i lavoratori a reddito più basso; a favore dei quali avevano già suggerito di intervenire i «saggi» nominati dal presidente della Repubblica.
Nel discorso programmatico di Enrico Letta questo punto c’era. Ma l’impuntatura del Pdl, o forse di una parte del Pdl, sull’Imu, rischia di spingere verso un uso assai meno efficace delle poche risorse a disposizione. Tanto più che il voto amministrativo a Roma e altrove fra 3 settimane rende difficile agli altri partiti dire di no.
Ragioni economiche consigliano casomai di alleggerire l’Imu sulle case più modeste, non di toglierla a tutti. Ragioni di buona politica – esposte giorni fa anche dal Foglio, quotidiano vicino al centrodestra – consigliano di utilizzare la tassa immobiliare come prima fonte di finanziamento dei Comuni: i sindaci stanno più attenti a quanto spendono se gli elettori sanno di quali entrate fiscali chiedergli conto.
Sarebbe poi ora di riflettere su dove ci hanno condotto quindici anni di focalizzazione ossessiva della politica sulla questione delle tasse. All’inizio molti avevano sperato che fosse utile a contenere l’eccessiva spesa pubblica. Le cifre invece dimostrano che proprio quando più si ripeteva il ritornello «meno tasse» la spesa è cresciuta.
Sui contribuenti corretti la pressione tributaria non è calata mai; mentre i pretesti e le scappatoie per l’evasione sono aumentati. Ad esempio nel rapporto Ocse di ieri si legge che dall’Iva l’Italia nel 2011 ricavava (in proporzione al nostro reddito che è ovviamente più alto) pressappoco quanto la Turchia, dove l’aliquota principale dell’imposta era più bassa, 18%.
Proprio a causa del peso del passato oggi l’Italia non può reagire alla recessione con un energico calo delle tasse. Siamo arrivati alla grande crisi carichi di troppo debito. Noi stessi, noi italiani, di fronte al rischio di non vederlo più ripagato per intero sposteremmo in massa i capitali all’estero; i severi obblighi europei sono solo conseguenza di una fragilità che è nei fatti.
Non servono nuove manovre restrittive. Oltretutto è caduto il mito che l’austerità esercitasse da subito effetti benefici: quando Mario Draghi ieri ha detto di non averlo mai creduto, con garbo si distingueva dal suo predecessore Jean-Claude Trichet. Ma proprio per non rendere inutili i sacrifici fin qui compiuti, ha aggiunto, bisogna stare attenti a non creare nuovi fattori di instabilità.
Dall’austerità occorre uscire senza sterzare troppo in senso opposto. Tornare ad aumentare il deficit pubblico sarebbe pericoloso. Proposte davvero incisive per tagliare le spese non ne arrivano, quando in teoria una grande coalizione dovrebbe offrire il supporto ideale. Concentrandosi sulla casa – come, da altre parti politiche, sulle pensioni – si insegue un elettorato vecchio, mentre il lavoro manca ai giovani. Con i pochi soldi che ci sono, meglio aiutare chi davvero non arriva alla fine del mese, e invogliare le imprese ad assumere.
La Stampa 03.05.13