C’è un nesso profondo tra la gravità della crisi italiana, che non ha precedenti, e la vicenda del Pd. Certamente dobbiamo riconoscere i nostri errori. Ma io penso che non usciremo dallo smarrimento che c’è nelle nostre file se non alziamo lo sguardo. Penso che il tanto invocato «principio di realtà» non consiste affatto nell’amnistiare Berlusconi, ma nel capire che le cose in Italia e nel mondo sono andate molto al di là. Tutto ci divide da costui. Nulla c’è da cancellare rispetto all’enorme problema etico-politico che egli ha posto e pone all’Italia. Ma è il terreno dello scontro che è cambiato. So che la questione è nuova ed è molto complessa. Ma la verità è che siamo arrivati a un crinale della storia, amici miei.
Che ruolo vuole giocare la sinistra? Questo è il problema. Parliamo pure senza infingimenti dei rischi che ci assumiamo e degli errori ma, per piacere, parliamo anche del nostro ruolo. Non sono d’accordo con questo piangerci addosso. Al contrario di altri io penso che il ruolo centrale lo abbiamo noi e ciò per una ragione oggettiva. Esso è obbligato dal fatto che – come cercherò di dire – non esiste un asse di governo alternativo a una qualche forma politica di centro-sinistra. Non è per caso che il «centro» si è ridotto ai minimi termini e che non esiste una destra che sia capace di andare oltre la propaganda elettorale e di garantire l’esistenza di una Italia democratica e unita (Nord e Sud) e al tempo stesso europea e che non sia buttata ai margini del mondo. Ho anch’io le mie idee sul futuro del Pd ed è evidente la legittimità di altre idee e la necessità di un confronto aperto. Ma dove andiamo se non si parte dall’Italia nel mondo nuovo?
Ripenso alla lunga storia delle forze progressiste italiane, nelle sue luci e nelle sue ombre, tragiche sconfitte comprese. Arrivo a una sola conclusione, che è questa. Se, e quando, queste forze sono riuscite a guidare grandi masse di popolo e ad affermare bisogni nuovi di dignità e di giustizia ciò è avvenuto essenzialmente per una ragione: perché hanno pensato se stesse non in base a astratti valori ma alla loro funzione reale. Si sono pensate come parte integrante di una storia più grande, la storia del Paese. È paradossale. Ma appena è stata resa nota la lista dei nuovi ministri la preoccupazione è stata quella di dire che la presenza dei «comunisti» era esigua. I comunisti? Ma questo partito non era defunto da decenni? Lo era. Però ciò che resta, e che fa ancora paura, è il fatto che questo partito, al di là dei suoi errori e delle sue colpe, ebbe un pensiero politico forte capace di tenere insieme la tensione tra etica della convinzione (i valori in sé) e etica della responsabilità (il governo del paese).
Ecco il problema che io pongo e che vorrei discutere anche con il mio vecchio amico Rodotà. Con quale pensiero politico affrontiamo oggi il problema dei problemi di un partito che non sia una setta, cioè il problema di definire il nostro compito, il perché esistiamo? Dove sta la necessità di un partito nuovo se non nella necessità di salvare questo Paese dal rischio incombente di una decadenza rovinosa? Forse non si è capito di che cosa si tratta. Forse il punto è proprio questo. Ed è su questo che vorrei discutere. L’Italia, così com’è, non regge alla sfida delle cose. Con questo Stato inefficiente, corrotto e costoso, con questo peso delle mille rendite, grandi e piccole, che si mangiano la ricchezza reale; con questo spreco di capitale umano e sociale (disoccupazione, giovani, scuole, ecc.); con questo crescente divario tra Nord e Sud, noi finiamo ai margini del meccanismo di integrazione europea.
Ma allora che succede? Succede che noi decadiamo. Benissimo, continueremo a discutere di Berlusconi? E poi? Le conseguenze sociali e politiche che ne seguirebbero sono enormi. Ci rendiamo conto che se fallisce anche questo governo il rischio di una qualche soluzione di tipo autoritario diventa alto? Ma non succederebbe solo questo. C’è qualche altra cosa, di cui nemmeno si parla. C’è il fatto che l’Italia è dopotutto, un grande Paese, un Paese di quelli che hanno dato forma al mondo attuale. La nostra crisi pone problemi enormi. Fallisce la costruzione europea e si riapre il problema davvero enorme del ruolo dell’Europa nel mondo.
Ecco perché parlo di un tornante della storia. Aprite gli occhi, amici della sinistra più intransigenti. Le vecchie classi dirigenti sono fallite. La destra non è in grado di affrontare il problema di una ricostruzione – ancora possibile – dell’Italia per ragioni evidenti: perché ciò richiede un nuovo patto sociale, uno spostamento profondo dei poteri e delle culture dominanti, una forte redistribuzione della ricchezza. Ma non solo. La realtà ci dice che siamo al collasso del circuito finanziario mondiale (cito Mauro Magatti) per cui deve necessariamente cambiare il modello della crescita. E che quindi occorre una nuova idea economica basata sulla qualità, sostenibilità, conoscenza, integrazione sociale, eccetera. E qui mi fe mo. Il Pd che congresso fa se non ridefinisce il suo compito e il suo ruolo in rapporto a questa situazione? Diamoci una guida e smettiamola di piangerci addosso.
L’Unità 01.05.13
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