Con il voto di fiducia al Senato, il governo Letta ha completato ieri il suo rapidissimo cammino parlamentare di insediamento, ma questa è sicuramente la parte più facile, quasi scontata, del suo compito. Sulla strada della credibilità lo attendono ora infatti, due altri «voti di fiducia» molto impegnativi e assai poco scontati: quello dell’Europa e quello dei mercati. La fiducia dell’Unione Europea deve essere ottenuta in un momento molto difficile, ossia proprio quando i rapporti politici all’interno dell’Europa sono eccezionalmente perturbati a causa dei contrasti sempre più duri tra Francia e Germania.
Il presidente francese Nicholas Sarkozy era riuscito a stemperarli e a sopirli, ma il suo successore François Hollande è stato trascinato dal suo stesso partito socialista in una polemica durissima nella quale la cancelliera tedesca Angela Merkel è stata bollata per la sua «austerità egoista» mentre il portavoce della cancelliera ha stigmatizzato «l’insolenza dei socialisti francesi».
Non è facile trovare, negli ultimi cinquant’anni, toni così accesi ed è proprio su questi carboni ardenti che dovranno passare il presidente del Consiglio Enrico Letta e il ministro degli Esteri, Emma Bonino.
L’incontro di ieri sera a Berlino del Presidente del Consiglio con il cancelliere tedesco Angela Merkel e quelli che avrà oggi a Bruxelles con il presidente della Commissione Europea e con il Presidente francese sono destinati a essere i primi di una lunga serie in cui toccherà all’Italia di sollevare il problema del difficile – se non impossibile – equilibrio tra austerità e ripresa. Si tratta di incontri preliminari in cui si affermano principi ma si tralasciano dettagli, come è successo, appunto, nel primo scambio Letta-Merkel. Ai dettagli ha pensato invece uno dei più autorevoli quotidiani tedeschi, il Frankfurter Allgemeine Zeitung il quale, in un duro editoriale, ha rilevato come, da Monti a Letta, il numero dei ministri italiani sia passato da dodici a ventuno.
L’Italia cercherà con forza di ottenere quanto è stato garantito a Spagna, Portogallo e Irlanda, ossia uno slittamento di due anni dell’obiettivo del pareggio del bilancio pubblico, ora fissato a fine 2013. Va ricordato che questo termine, che ora appare soffocante, era stato accettato, in forma più o meno ufficiale dall’ultimo governo di Silvio Berlusconi e necessariamente fatto proprio dal governo tecnico di Mario Monti. E’ bene dire chiaramente che, senza uno slittamento di quelle proporzioni, sarà molto difficile, per non dire impossibile, trovare risorse sufficienti per rilanciare l’occupazione, ridurre l’Imu, detassare le imprese e quant’altro. Lo slittamento, invece, porterebbe a una disponibilità pubblica non facilmente determinabile ma nell’ordine di 10-20 miliardi di euro con i quali cercare di sostenere l’economia per farle superare il punto morto in cui oggi si trova.
Oggi l’Italia si trova in una situazione assurda: nel 2012 il Paese ha contribuito in maniera cospicua al Meccanismo Europeo di Stabilità, che ha lo scopo di salvare le economie di altri Paesi, a cominciare dalla Grecia. Le viene però, di fatto, impedito di spendere anche un solo miliardo per rilanciare l’economia italiana. Non si tratta precisamente di una situazione ideale per rendere popolare l’Unione europea che già oggi viene percepita da pressoché tutti gli italiani come lontana, e da molti come potenzialmente ostile. Il presidente del Consiglio dovrà far leva proprio su queste assurdità e sulla necessità della loro rapida rimozione per realizzare quanto ha promesso nelle aule parlamentari.
Mentre cercheranno di convincere i colleghi europei, Enrico Letta e il suo governo dovranno anche guadagnarsi la fiducia dei mercati. Apparentemente questa è stata data a piene mani: il famigerato spread è sceso e non ci sono state nelle scorse settimane difficoltà particolari a collocare le nuove emissioni di titoli di stato italiani. Tutto questo però è stranamente accaduto per motivi che hanno poco a che fare con la situazione italiana ma hanno origine in Giappone, un paese lontano che la globalizzazione finanziaria ha reso inaspettatamente vicinissimo. Per motivi interni, il Giappone sta creando una quantità enorme di nuova liquidità, una mossa disperata per uscire da una stagnazione ventennale, che ha l’obiettivo di far cadere il cambio della propria moneta e rendere più competitive le proprie esportazioni.
E’ piuttosto difficile che questa manovra abbia successo ma intanto banche e società finanziarie di mezzo mondo stanno prendendo a prestito i nuovi yen a prezzi bassissimi e li reimpiegano in titoli del debito pubblico di vari Paesi. I titoli italiani sono tra i più interessanti perché, almeno nel breve periodo (l’unico che interessa a questi operatori) l’Italia terrà, dal momento che è riuscita a eleggere un Presidente della Repubblica e a votare la fiducia al nuovo governo. Questa buona disposizione dei mercati internazionali potrebbe svanire con la stessa rapidità con la quale si è formata, senza che l’Italia ne abbia colpa. La fiducia dei mercati va riconquistata tutte le mattine, alla riapertura dei listini.
Il nuovo governo dovrà quindi districarsi tra una maggioranza parlamentare sicuramente ampia ma, altrettanto sicuramente, poco entusiasta, un’Unione Europea burocratica, sospettosa e indebolita dai contrasti interni e operatori finanziari che fanno il conto dei decimali e non pensano troppo al futuro. Dalla sua capacità di azione su tutti e tre i fronti può ben dipendere il futuro del paese.
La Stampa 01.05.13