Il primo atto del governo si è compiuto, dopo un braccio di ferro duro e una difficilissima mediazione finale. Sapevamo che non sarebbe stato il governo di cambiamento del quale l’Italia avrebbe bisogno. Sappiamo che la strada, per quanto inevitabile, sarà irta di ostacoli. Ma ha fatto premio l’esigenza di dare un governo al Paese, per affrontare quei nodi resi ineludibili da una crisi pesantissima e senza fine.
E in questo modo riuscire a restituire un po’ di fiducia a un Paese scosso ed in difficoltà. Il profilo del governo ha tante facce. Novità importanti – tra tutte la presenza della prima donna nera – presidi importanti e non scontati all’Economia e alla Giustizia, equilibrio in altri campi tra espressioni politiche alternative. Con la stessa franchezza, manca nel governo una più significativa presenza di quella cultura politica che viene dalla tradizione del lavoro e si sente parte del socialismo europeo, e ha tante radici e rappresentanze nel Paese. Questo limite andava evitato.
Adesso, in Parlamento, il presidente del consiglio ha il compito di esporre punti e priorità del programma, partendo dal tema del lavoro e della occupazione, degli investimenti, della tutela di chi perde il lavoro. Deve chiarire come ottenere dall’Europa una politica che non sia solo di rigore e che consenta di trovare risorse per sostenere la domanda interna e far ripartire i consumi. Nello stesso tempo, Enrico Letta dovrà chiarire le forme della discussione di natura istituzionale, che avrà certo il suo fulcro in Parlamento ma che ha bisogno di un «accompagnamento» da parte dell’esecutivo. Il governo di servizio dovrà anche darsi l’impegno di dirimere le difficoltà con obiettivi concreti e in grado, da subito, di segnare un rapporto po- sitivo con le tante attese che si sono sedimentate.
Il Pd sosterrà con serietà l’azione di governo, pur sapendo i tanti dubbi e le difficoltà che sta vivendo una parte non piccola del proprio popolo. Spenderà in questa direzione la propria forza parlamentare. Il suo impegno dovrà essere anche quello di far vivere una voce e una presenza forte nel Paese per rappresentare quei ceti e settori che la crisi ha lasciato indietro. C’è una grande domanda di cambiamento, di equità e di solidarietà a cui il Pd non può non dare risposta, pena l’offuscamento del suo ruolo e della sua funzione. Per questo i democratici devono stare, nello stesso tempo, dalla parte degli ultimi e dalla parte di chi ostinatamente produce, paga le tasse e non si rassegna al declino dell’Italia.
Il Pd dovrà presidiare il fronte sociale e lavo- rare da stimolo all’azione del governo. Anche perché dopo dovrà tornare una dialettica tra forze alternative, rese più mature da questa esperienza nel nuovo esecutivo, il cui risultato segnerà anche il giudizio sul Pd. La discussione che ci aspetta è impegnativa e fondamentale. C’è un filo che tiene assieme questa dimensione e quella del governo. L’una influenzerà l’altra e viceversa. Proprio per questo il Pd deve rapidamente trovare la strada giusta – e le tappe, compreso il congresso – per uscire dalle straordinarie difficoltà in cui è finito. È necessaria una grande opera di rinnovamento e di riforma del partito: per avere un profilo più netto e riconoscibile. Dobbiamo costruire un partito che agisce e decide e che per questo sa dove e come discutere, e lo fa principalmente allargando le forme della partecipazione e della democrazia.
Le scelte che si dovranno fare andranno fatte con le persone, a partire dai tanti che oggi si mostrano critici e delusi. Anche perché solo questo può evitare una discussione tutta piegata all’interno, burocratica, fatta solo di manutenzione. Il futuro de Pd passa da qui, dalla scelta e dalla capacità di cambiare, dalla franchezza di un confronto politico che non nasconda nulla e si proponga, senza ritorni all’indietro, di ripartire con un progetto e una speranza che non va fatta cadere.
L’Unità 28.04.13