I sette anni di Re Giorgio l’ex “comunista moderato” che ha conquistato il Paese, di Filippo Ceccarelli
Per quanto il finale sia amaro, che più amaro forse non si potrebbe, e perfino «surreale, trovandomi oggetto di assurde reazioni di sospetto e dietrologie incomprensibili, tra il geniale e il demente», ecco, come sempre toccherà alla storia il giudizio definitivo. Ma fin d’ora, e senza troppi timori, ci si può prendere la responsabilità di sostenere con dovizia di pezze d’appoggio che il settennato di Giorgio Napolitano è stato politicamente lunghissimo, quasi tutto eccellente, per certi versi magistrale e a tratti anche straordinario, nel duplice senso di inconsueto ed eccezionale nel suo dispiegarsi. Se proprio bisogna pescare il pelo nell’uovo, il dubbio, il sospetto, o forse la maliziosa suggestione è che le cose abbiano cominciato a girare male – intercettazioni e polemiche con la Procura di Palermo, morte di D’Ambrosio, malevolenze grilline, dissapori con Monti, equivoci con il Pd, impotenza e sfinimento dopo le elezioni, propositi poi rientrati di anticipare le dimissioni, accuse per la commissione dei dieci presunti saggi o facilitatori, critiche sulla grazia concessa in extremis agli americani del sequestro di Abu Omar …