attualità, economia, politica italiana

"Il peso delle riforme incompiute", di Vincenzo Visco

Alcuni studi hanno valutato che l’effetto della decisione del governo spagnolo di liquidare lo scorso anno circa 30 miliardi di crediti delle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni (circa 3 punti di Pil) è stato quello di rendere molto meno grave la recessione economica rispetto a quanto si sarebbe verificato in assenza dell’intervento. In Italia – come è noto – i debiti nei confronti dei fornitori raggiungono i 5-6 punti di Pil il che significa che il drenaggio di risorse operato nei confronti del sistema produttivo è stato enorme e con effetti devastanti, soprattutto in un periodo di forte restrizione creditizia come quello attuale, contribuendo in modo rilevante alla crisi attuale.
Quindi l’approvazione del decreto legge che sblocca e rende possibili pagamenti di debiti pregressi per 40 miliardi è un fatto positivo, da tempo dovuto, e da altrettanto tempo rinviato, e la cui formulazione finale riflette anche un contrasto interno molto forte tra Tesoro e Sviluppo economico, risoltosi alla fine (forse per la prima volta) a favore di quest’ultimo. L’intervento tuttavia è limitato a meno della metà dei crediti stimati, e la sua riformulazione è stata caratterizzata da resistenze e prudenza soprattutto da parte della Ragioneria Generale dello Stato. Può quindi essere utile qualche considerazione in proposito.
Si è sottolineato più volte nei giorni passati come il pagamento dei debiti nei confronti delle imprese fornitrici non dovrebbe comportare un aumento dell’indebitamento in quanto dovrebbe trattarsi prevalentemente (80%) di debiti commerciali già contabilizzati per competenza in bilancio, l’effetto quindi si manifesterebbe esclusivamente in un aumento dello stock di debito pubblico peraltro già noto e scontato da tempo dai mercati. Vi sono poi debiti relativi a spese di investimento effettuate, non solo dagli enti locali e per il cui finanziamento è necessaria la deroga al patto di stabilità, ma anche da Anas, Ferrovie, ecc. con gravi danni (rischio di insolvenza) per le imprese edilizie. Il pagamento di questi debiti comporta un incremento sia dell’indebitamento netto (disavanzo) che del debito pubblico, ed è a questi fini che la Commissione ha consentito la possibilità di aumentare il disavanzo per spese di investimento utili allo sviluppo, a condizione che non si superi il limite del 3% previsto nel Trattato di Maastricht (si tratta dell’inizio di una applicazione prudente della “golden rule”). In conseguenza il Governo ha previsto un incremento del nostro indebitamento dal 2,4% al 2,9%, per l’anno in corso. Questo è il quadro che viene rappresentato. Tuttavia la realtà è alquanto più complessa in quanto, soprattutto per quanto riguarda le spese correnti, non sempre le fatture emesse corrispondono ad un onere registrato per competenza, bensì non di rado esse riguardano spese effettuate senza alcuna copertura, molto spesso con la collusione tra imprese e amministrazione appaltante. L’entità di questi debiti è ignota ed emergerà gradualmente, man mano che essi verranno certificati, ma essa è sicuramente notevole ed implica che non solo il debito, ma anche i disavanzi reali sono stati (sono) più elevati di quanto finora contabilizzato. In altre parole in riferimento questo tipo di situazione il rimborso dei debiti assomiglia molto ad una sanatoria.
Gli esempi riportati in proposito episodicamente nella stampa sono numerosi: per esempio, si è riportato che le forze di polizia non hanno gli stanziamenti sufficienti per pagare gli affitti dei commissariati o i rifornimenti e le riparazioni delle auto di servizio e quindi si sono accumulati debiti ingenti (che i creditori tollerano perché sanno che prima o poi saranno pagati comunque). La Telecom vanta crediti rilevanti per intercettazioni effettuate in seguito a disposizioni delle autorità giudiziarie, ma per il cui finanziamento mancano gli stanziamenti. Ma soprattutto il fenomeno riguarda la spesa sanitaria e le forniture ospedaliere la cui dinamica rimane fuori controllo nonostante l’osservatorio affidato al dottor Massicci costituito da chi scrive come Ministro del Tesoro nel lontano 2000, ma che non ha avuto una evoluzione istituzionale e organizzativa adeguata.
Va anche notato che i crediti che oggi vogliamo rimborsare sono praticamente raddoppiati nel periodo 2008-11 e cioè proprio quando si introducevano misure che, nelle intenzioni dei proponenti, avrebbero dovuto contenere e ridurre l’entità della spesa pubblica. In pochi casi quei vincoli non sono stati rispettati anzi sono stati ignorati ed elusi.

Se le cose stanno così, è evidente che ci troviamo di fronte, ancora una volta, ad una finanza pubblica non sotto controllo, e al fallimento o per lo meno alla scarsa efficacia, di una strategia basata su tagli più o meno lineari, vincoli di cassa e competenza, patti di stabilità interni, ecc.; nonché all’assenza di vincoli di bilancio effettivi e alle deresponsabilizzazione degli enti decentrati che appena possono eludono o ignorano i vincoli. Si capisce quindi la cautela del governo e la preoccupazione della Ragioneria. Infatti il rischio del superamento del limite del 3% è reale. Tuttavia non è più tollerabile proseguire su una linea sbagliata, improduttiva e autolesionista. Occorrono riforme radicali nel funzionamento del ministero del Tesoro anche nei suoi rapporti con gli altri enti di spesa decentrati, riforma del sistema di federalismo finora introdotto, spending review effettive (il che significa essenzialmente la riforma delle strutture organizzative della P.A.), bilanci standard per gli enti locali, prontuario e classificazione delle singole voci di spesa uniformi e condivisi, monitoraggio continuo dei processi di spesa e dell’andamento delle entrate a tutti i livelli di governo con la ricostruzione/integrazione dei sistemi informativi esistenti, responsabilità personale degli amministratori (politici e non), programmazione dei tagli e dei risparmi da effettuare che siano sostenibili e quindi attuabili ecc.
Questi sono i problemi di cui dovrebbe occuparsi un auspicabile nuovo governo. Il governo attuale ha invece preferito operare in continuità con quello precedente; forse non aveva altra scelta, soprattutto per il tempo a disposizione, ma i risultati si vedono e non sono né positivi né tranquillizzanti. E del resto la formazione di un eventuale governo più o meno di grande coalizione, o di transizione/decantazione, debole e a termine, composto da persone non pienamente consapevoli dei problemi reali, come quello che molti prospettano, difficilmente potrebbe dare un contributo alla soluzione dei problemi reali.

Il SOle 24 Ore 13.04.13