Sorde o meno che siano, e grigie, come Mussolini designò quella della Camera nel 1922, da un quarto di secolo le aule del Parlamento corrono spesso il rischio, per non dire l’abitudine, di venire occupate. Da chiunque, in verità, senza troppe distinzioni di schieramento, almeno nella Seconda Repubblica. Prima, le culture e le appartenenze politiche garantivano una cornice di comportamenti più sobri e una certa prudenza, anche disciplinare, sconsigliavano misure così vistose ed estreme. Bastava l’ostruzionismo, d’altra parte, e anche i regolamenti di Camera e Senato erano diversi. Sta di fatto che mai i parlamentari comunisti, cioè la maggior forza d’opposizione, avrebbero ritenuto efficace occupare, per giunta da soli, l’emiciclo.
Per cui la pratica barricadera arriva nelle assemblee sulla spinta delle lotte post-Sessantotto, e non deve essere un caso che a introdurla a Montecitorio, nella seconda metà degli anni 70, furono i radicali, e quindi con un’impostazione prettamente non-violenta.
E anche in questo, come in tante altre attività, furono buoni profeti.
E tuttavia la prima occupazione d’aula di cui si trova traccia nelle banche dati avviene nel gennaio del 1988 da parte dei deputati del Msi, con tanto di Almirante presente in aula e del giovane Fini che faceva la spola con i giornalisti in Transatlantico. Protesta contro un maxi-emendamento sulla Finanziaria — anche se di solito le motivazioni e i pretesti sono destinati per lo più all’oblio.
Molto più contano le modalità dell’occupazione. Mario Capanna, ad esempio, occupò da solo; e dopo di lui anche l’eccentrico socialista Franco Piro; e poi i verdi, per via della guerra con l’Iraq, e quindi di nuovo i missini; e per la prima volta toccò al Senato, nell’estate del 1992, allorché i rifondatori del comunismo si presero lo sfizio di passare qualche ora nell’aula-bomboniera e a uno di loro toccò l’estatico capriccio di sedersi sullo scranno più alto, quello che la storia riservava a Spadolini.
E tuttavia, calando nello specifico organizzativo, in genere gli occupanti prediligono i banchi del governo, e non solo per sfida beffarda al potere. E’ che lì ci sono delle sedie e nell’ipotesi malaugurata di sgombero, da attuarsi dai robusti commessi di Montecitorio e di Palazzo Madama, gli onorevoli invasori vengono trasportati fuori, pure con qualche garbo, insieme alle sedie, un po’ come accadeva al Papa fino a qualche tempo fa.
Sennonché le fattispecie dell’occupazione, che a volte si limita a qualche commissione parlamentare, sono infatti varie e pure abbastanza diverse. E qui i nuovi arrivati del M5S non se la devono prendere, ma un’iniziativa che non preveda di passare la notte tra i banchi rischia di partire un pochino «scamuffa», come si dice a Roma, cioè deboluccia, vorrei ma- non-posso.
E magari pure fredda, che dal punto di vista mediatico è la peggiore sciagura. Ai leghisti si devono invece — e siamo già negli anni duemila — le più infuocate caciare. Specialista era l’allora capogruppo Cè, poi caduto in disgrazia, che una volta espulso si rifiutava di uscire dall’aula e allora parecchi altri deputati gli si stringevano attorno, a testuggine, e lì restavano, non di rado ostentando accessori di colore verde e approfittando di qualche onorevole che faceva rifornimento di panini alla buvette.
Una volta (marzo 2004), per sbloccare un ostinato presidio padano di cui neanche il presidente Casini era riuscito ad aver ragione, dovette intervenire il premier Berlusconi; e la leggenda di Palazzo tramanda che calmò gli animi recitando brani de «La quiete dopo la tempesta» di Giacomo Leopardi, poeta quanto mai lontano dagli orizzonti del Cavaliere. Ma tant’è.
Il vero guaio degli onorevoli occupanti, da quanto si capisce ricostruendo le evenienze, è legato al dubbio, controverso e comunque difficoltoso uso dei servizi. Che sarebbe un modo neutrale per dire che specie durante la notte, chiesi gli accessi dell’aula, i ribelli non potrebbero andare al bagno. O almeno: possono anche, ma una volta soddisfatte le loro umanissime esigenze, sarebbero impediti di rientrare.
Su questa materia, s’immagina riservata al Collegio dei Questori, non si possiedono deliberazioni e protocolli certi. Ma è certo che nel gennaio del 2008 i tre deputati della Destra Buontempo, Salerno e Santanché dovettero strenuamente fronteggiare tale problematica, ma senza arrendersi.
Più tollerante, pare di ricordare, fu in questo senso la sorveglianza messa in atto nei confronti dei radicali durante la lunga occupazione — cinque giorni — della Commissione di Vigilanza Rai a San Macuto. Poco dopo comunque i radicali occuparono l’aula di Montecitorio con il soccorso di tre loro senatori, tra cui Emma Bonino, che vennero considerati «estranei» e dunque anche loro condotti fuori su sedia papale.
Al Senato fu poi la volta del-l’Idv, pure con tricolori e telefonini che trillavano “Fratelli d’Italia”. L’ultimo occupante solitario l’onorevole Barbato. I grillini aprono la XVII legislatura. Non hanno tutti i torti, nel merito, ma è bene sappiano che in questo tempo contano più le forme dei contenuti.
La repubblica 09.04.13