Il divario tra redditi e consumi si allarga negli anni della crisi. Ogni 100 euro dichiarati al fisco, nel 2011 gli italiani ne hanno spesi in media 121,4. Due anni prima, invece, erano poco meno di 118. La domanda, allora, viene spontanea: da dove arrivano i 21 euro in più? Dalle rendite finanziarie che non entrano nella dichiarazione dei redditi, sicuramente. Dall’erosione dei risparmi accumulati negli anni, in secondo luogo. E dall’indebitamento delle famiglie, che secondo la Banca d’Italia è in crescita. Ma anche dall’evasione fiscale, che genera un flusso di ricavi invisibile per l’agenzia delle Entrate e allo stesso tempo concretamente misurabile in termini di consumi.
La misura del rischio
La differenza tra spese e redditi non è una prova certa di evasione, ma costituisce senz’altro un indicatore significativo del rischio. Per capirlo, basta leggere i numeri in valore assoluto e in prospettiva storica. Dal 2003 al 2011 – ultimo anno per cui sono disponibili i dati – il divario non è mai stato inferiore ai 146 miliardi di euro, con punte di 176 miliardi.
Nessun Paese potrebbe permettersi di “coprire” una differenza così ampia e per così tanto tempo senza ricorrere a una fonte di finanziamento esterna e stabile nel tempo (anche perché lo stesso risparmio delle famiglie potrebbe essere in parte ottenuto da tasse non pagate). Oltretutto, il dato preso in esame è quello del «reddito complessivo», dal quale, a rigor di logica, vanno sottratte le imposte versate.
Il rischio-evasione è più elevato nelle regioni del Sud. In Calabria nel 2011 le spese hanno superato i redditi del 46%, in Sicilia del 40% e in Campania del 34,4 per cento. Regioni che, tra l’altro, hanno anche i redditi dichiarati pro capite più bassi d’Italia. All’estremo opposto, Umbria (12,4%) e Lombardia (14%) hanno il divario più contenuto. Ma la tendenza generale incontra più di un’eccezione. La Valle d’Aosta (31,6%) è subito a ridosso delle tre regioni meridionali, mentre la Basilicata (14,8%) è tra le più “virtuose” d’Italia. Per quanto può essere virtuoso un Paese in cui tutti sembrano spendere più di quanto incassano.
Gap in crescita dal 2009
Oltre alle peculiarità geografiche, un altro dato balza subito all’occhio. Tra il 2009 e il 2011 non c’è una sola regione in cui il rischio-evasione si sia attenuato. Per capire cosa sia successo, però, bisogna scomporre le due componenti.
L’elaborazione del Sole 24 Ore ha depurato i dati dall’inflazione, e questo consente di vedere che dopo il picco dell’anno d’imposta 2007 i redditi dichiarati al Fisco – in termini reali – sono sempre diminuiti. Colpa della crisi? O ritorno di fiamma dell’evasione fiscale dopo gli anni del ministro Vincenzo Visco? La risposta più ragionevole è un mix dei due fattori, considerando anche la stretta creditizia e la mancanza di liquidità che ha colpito molte piccole e medie imprese.
Nello stesso periodo, mentre i redditi diminuivano, la spesa delle famiglie ha avuto un andamento discontinuo: due anni di contrazione seguiti da due anni di crescita. Attenzione, però, a non fermarsi alla prima lettura possibile. La crisi ha colpito – e continua a colpire – i consumi privati, ma nel conto che grava sui cittadini rientrano anche bollette energetiche, prezzo dei carburanti, tariffe per servizi e trasporti. Tutte voci che hanno risentito di una dinamica dei prezzi crescente.
L’allargamento del gap, dunque, si spiega con il calo dei redditi e l’andamento stabile (o leggermente crescente) dei consumi.
L’ipoteca sul 2012
I dati d’insieme restituiscono l’immagine di un Paese in difficoltà, che non riesce né a crescere né a contrastare efficacemente i propri squilibri, a partire da quello fiscale.
Le prime indicazioni sul 2012, solo per quel che riguarda l’Iva e l’andamento generale dei consumi, non lasciano molti margini di ottimismo. Anche perché la pressione fiscale è arrivata al 52% nel quarto trimestre del 2012. Un fattore che stringe ancora di più la morsa in cui si trovano famiglie e imprese, riducendo i margini per il recupero del sommerso.
Il Sole 24 Ore 08.04.13