«Tre uomini soli sono al comando». Le parole di Mario Ferretti, che lui usò al singolare per immortalare Fausto Coppi, tornano utili per descrivere il momento unico della finanza mondiale. Tre uomini – Ben Bernanke, Mario Draghi e, da questa settimana, Haruhiko Kuroda – sono al comando dell’economia del pianeta. Dietro i tre banchieri centrali d’America, Europa e Giappone, un gruppone d’investitori che segue ogni loro movimento con un solo obiettivo: fare soldi nonostante le difficili condizioni dei tre grandi blocchi del cosiddetto mondo sviluppato.
Il frangente è quasi storico. Dopo la crisi finanziaria del 2008-2009, i grandi signori del capitalismo – le banche, le società e i fund managers – hanno abdicato la loro supremazia sui mercati. Al loro posto sono ascesi i burocrati di Washington, Bruxelles e Tokyo su un trono sorretto dalle pile di denaro stampate per resuscitare le economie di mezzo mondo.
La Federal Reserve, la Banca Centrale Europea e la Banca del Giappone hanno già iniettato 4700 miliardi di dollari nelle vene del capitalismo mondiale. Tanto per darvi un’idea, la somma è più del doppio del prodotto interno lordo dell’Italia. Le misure annunciate questa settimana da Kuroda per sconfiggere la depressione che affligge il Giappone da decenni, potrebbero aggiungere altri 1400 miliardi.
Le dosi da cavallo sono giustificate. La crisi di cinque anni fa ha paralizzato mercati, consumatori ed aziende. Il crollo della Lehman Brothers, la recessione negli Usa ed in Europa, e l’incertezza sul futuro hanno forzato i tre attori principali a prendere decisioni razionali ma deleterie per l’economia mondiale.
I mercati si sono buttati subito su beni-rifugio quali il dollaro e le obbligazioni del governo americano, lasciando società ed individui senza denaro per prestiti e mutui. I consumatori spaventati dalla crisi, hanno fatto catenaccio – ripagando debiti, risparmiando ogni spicciolo e riducendo consumi discrezionali come le cene al ristorante, la macchina nuova e le vacanze all’estero. E le aziende non sono state da meno, tagliando costi e posti di lavoro e rimandando grandi investimenti fino a quando la situazione non migliora.
«Era l’economia del “non vale la pena”», mi ha detto un banchiere di Wall Street. «Nessuno voleva rischiare».
E allora a rischiare sono state le banche centrali. Il ragionamento di Draghi and company è stato: a mali estremi, estremi rimedi. Se i motori dell’economia hanno paura di spendere denaro, abbassiamo il costo del denaro. E diciamo ai mercati che le nostre misure continueranno fino a quando non vediamo risultati concreti. O, come disse proprio Draghi, «faremo tutto il possibile» per salvare l’economia europea. E quella americana. E quella giapponese.
E’ per questo che parlo di momento storico. Un intervento monetario così massiccio e co-ordinato dalle tre banche centrali più importanti del mondo (sorry, Banca d’Inghilterra…) non si era mai visto.
Anche i risultati sono senza precedenti. Dopo un primo periodo di assestamento, e con la pausa della crisi europea, i mercati hanno risposto con entusiasmo alle mosse dei banchieri.
Tra tassi d’interesse bassissimi, interventi nel mercato del reddito fisso e svalutazioni monetarie, gli ultimi anni sono stati un paradiso per gli speculatori. Bernanke e i suoi lo hanno detto ripetutamente: vogliamo che gli investitori rischino di più perché solo quando gli «spiriti animali» di Keynes governano i mercati, le economie possono ritornare a crescere.
Il gruppone degli investitori ha seguito gli uomini al comando. Più rischio? Ecco i mercati azionari in America toccare nuovi record. Più rischio? Ecco i buoni del tesoro italiani e spagnoli vendere come churros appena sfornati. Più rischio? Certe obbligazioni «esotiche» che pensavamo, e speravamo, dimenticate dopo la crisi sono di nuovo di moda tra investitori grandi e piccoli.
Il bello, per gli investitori, è che questa corsa verso le parti meno sicure dei mercati finanziari non è stata sanzionata, anzi perfino incoraggiata, da banche centrali alla disperata ricerca di crescita. E’ come se dei genitori dessero il permesso ai figli teenager di fare una festa con alcol e marijuana quando sono via per un paio di giorni.
Come finirà? Dipende tutto dal quando le banche centrali decideranno di mettere fine all’era del permissivismo. William McChesney Martin, Jr, che fu a capo della Fed dal 1951 al 1970, disse che il ruolo della banca centrale è di portare via la coppa del punch quando la festa incomincia a farsi interessante.
Per ora, Bernake, Draghi e Kuroda non fanno altro che ri-riempire la coppa. Prima o poi, però, ritorneranno in cucina e ritireranno i miliardi di stimolo, lasciando i mercati a cavarsela da soli.
I banchieri centrali giurano che quel momento è molto lontano, che le economie sono ancora troppo deboli, lo spettro dell’inflazione inesistente. I mercati per ora ci credono ma gli investitori più intelligenti sanno che stanno giocando alla roulette russa con le banche centrali.
«E’ tutta una questione di tempo», mi ha detto il capo di uno dei più grandi fondi d’investimento americani questa settimana. «Quando la musica smette, in molti si troveranno senza sedia».
Il problema più serio, però, è che tutto questo stimolo sembra solo aiutare gli speculatori. L’economia reale rimane debole, sia in Europa, sia in America – basta guardare ai dati sul mercato del lavoro Usa usciti venerdì.
Vista la latitanza delle forze politiche, che non vogliono assolutamente rischiare l’impopolarità con misure di austerità o aumenti di tasse, i tre banchieri non hanno scelta: devono continuare a pompare denaro fino a quando l’economia non si riprende. Anche se stanno creando bolle speculative. Anche se qualche investitore ci perderà la camicia e forse anche di più.
Il vero pericolo per i tre uomini al comando è che la loro fuga si riveli una corsa verso il nulla.
Francesco Guerrera è il caporedattore finanziario del Wall Street Journal a New York
La Stampa 07.04.13