Vi scrivo da un giornale che non riceve finanziamenti pubblici e da una redazione con una storia che viene da lontano e che ha sempre considerato l’interesse del lettore più importante di quello dei giornalisti. È per questo che non abbiamo alcuno stato d’animo nel commentare le prime iniziative parlamentari dei grillini tra le quali, oltre all’abolizione dei rimborsi elettorali, ci sono l’abolizione dell’ordine dei giornalisti e la fine dei finanziamenti pubblici ai giornali.
Consideriamo l’Ordine dei giornalisti come un insieme di regole che dà un inquadramento a questo nostro lavoro e lo rende responsabile di fronte ai nostri lettori e all’opinione pubblica in generale. Non certo come una barriera difensiva e corporativa per chi ne fa parte. Consideriamo giusto che vi siano delle norme da rispettare a garanzia di una professione che proprio il moltiplicarsi convulso di forme e di piattaforme creato in questi ultimi anni da Internet ha reso – a nostro giudizio – ancora più necessaria. Il giornalismo «cittadino» è una ricchezza che la blogosfera ha incentivato e che rende, semmai, più stimolante nell’incalzare il lavoro dei professionisti. Se non volete chiamarlo «Ordine» chiamatelo registro o qualcos’altro, toglietegli qualunque sospetto di privilegio o di esclusività, dategli regole che lo facciano aperto e non escludente. Ma noi crediamo che la difesa di un’idea precisa – quella che abbiamo detto – della professione del giornalista debba rimanere.
Ciò detto, osservando con crescente curiosità e anche con qualche aspettativa questo universo parlamentare raccolto sotto l’emblema di Beppe Grillo, ci chiediamo: rispetto ai problemi di un Paese così in debito di politica da esprimere un voto così massiccio al partito dei Cinque stelle, sono davvero così prioritarie le questioni dell’Ordine dei giornalisti e del finanziamento pubblico dei giornali? Ci sfugge come la disoccupazione, la riduzione della pressione fiscale, la sburocratizzazione della giungla pubblica italiana, il bisogno di trasparenza della finanza e del credito, possa migliorare una volta abolito l’Ordine dei giornalisti.
Le piazze dei «Vaffa» hanno mosso le viscere di un’opinione pubblica delusa dalla grande politica, da scandali veri e presunti, da una casta nella quale giornali e giornalisti – a torto e a ragione – sono stati messi sullo stesso piano di una classe politica ritenuta inconcludente e impunita. E va bene, è la «rivoluzione» italiana. Ma adesso che la campagna elettorale è finita e tocca fare politica, affrontare i problemi della gente nel contesto delle regole democratiche, dare un indirizzo a quell’energia vitale e anch’essa – certo – democratica, la prima cosa da fare è abolire l’Ordine dei giornalisti?
A noi viene il sospetto che questo fastidio nei confronti dei giornali, quest’ansia vendicativa, quest’ossessione punitiva (ieri uno dei parlamentari ha offerto per spregio due euro e mezzo l’ora di stipendio a un aspirante addetto stampa) nasca dal fatto che non si sa reggere il confronto con l’informazione. I giornalisti sono petulanti, ripetitivi, insistenti? E come dovrebbero essere? Fanno troppe domande? Non dovrebbero farle? Un leader politico, quale Grillo certamente è, non può sfuggire al confronto con i giornalisti, tanto più se invoca e predica la trasparenza in politica. Non doveva essere tutto in chiaro – anche grazie a una mitizzazione di Internet – nel movimento Cinque stelle? E perché le riunioni dei parlamentari sono invece blindate? Perché questo ridicolo mistero intorno a luoghi e orari delle riunioni?
Non sarebbe certo la prima volta che il potere politico utilizza proposte di legge per intimidire l’informazione. In questi ultimi anni i tentativi sono stati ripetuti e persino dichiarati. Aver trasformato i propri appuntamenti in una caccia al tesoro, i mascheramenti, le fughe del leader (dopo l’incontro con Napolitano, per esempio) sono una caricatura della politica. I giornalisti che entrano nel gioco e si esibiscono in acrobazie alla caccia di improbabili retroscena sono una caricatura del mestiere e al tempo stesso un regalo a Grillo. Bisogna lavorare col meglio che offre la professione: interrogare, indagare, far domande, capire, ottenere risposte.
C’è insomma qualcosa di non naturale nell’impacciato rapporto tra questi grillini e l’informazione, qualcosa di malsano che genera i peggiori sospetti. Ci sono buoni giornalisti e cattivi giornalisti, buoni politici e cattivi politici. Una forza politica seria che vuole rifondare un Paese serio dovrebbe preoccuparsi di avere un’informazione sana. Quella che trova nelle leggi tutela e non ostacoli, regole chiare sul mercato pubblicitario e sostegno a tutto ciò che fa cultura e non finanziamenti impropri.
La stampa 06.04.13